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**Migranti: Meloni in Albania ‘hotspot operativi da 1° agosto’, ma è bufera con opposizioni**

5 Giugno 2024

Tirana, 5 giu. (Adnkronos) – La campagna elettorale si infiamma sul rush finale, complici i provvedimenti varati ieri dal governo per sforbiciare le liste d’attesa e la missione in Albania della premier Giorgia Meloni, in visita ai due hotspot nati del memorandum siglato lo scorso novembre con il primo ministro albanese Edi Rama tra un mare di polemiche. Solo qualche settimana fa le opposizioni -Pd e Avs- erano arrivate nei centri frutto dell’accordo, accendendo i riflettori sui ritardi: ruspe sul terreno dove sorgerà -l’uso del futuro è d’obbligo- il centro di Gjader: problemi del terreno hanno reso la costruzione della struttura più ardua del previsto. La premier Giorgia Meloni, che sul memorandum con l’Albania ha puntato moltissimo, non ci sta e passa al contrattacco, e mentre la sfida delle urne si avvicina vola dal primo ministro Edi Rama con il ministro Matteo Piantedosi al suo fianco.

Prima si reca a Gjader -dove la stampa è assente-, poi raggiunge il porto di Shangjin dove tutto è ormai pronto ma fermo, in attesa che l’altro hotspot venga tirato su. “La struttura è stata ultimata ieri -racconta il direttore del porto Sander Marashi, in attesa dell’arrivo della delegazione italiana – ora è passata sotto la gestione italiana”. I nostri poliziotti, nelle loro divise blu, piantonano il centro di prima accoglienza: 4mila metri quadrati chiusi in uno angolo del porto, i pescherecci a vista a poche centinaia di metri e promontori rocciosi alle spalle. La premier visita la struttura con Rama al suo fianco, poi incontra la stampa per annunciare che ci siamo, manca poco affinché le strutture diventino operative. Gli hotspot italiani in Albania partiranno infatti il 1 agosto, annuncia, e pazienza se il memorandum Italia siglato a Roma lo scorso novembre fissava la deadline a fine maggio: “un obiettivo del genere -dice, rimarcando il “respiro europeo” del progetto, potenziale “modello per l’Unione europea”- val bene due mesi di ritardo”.

Non saranno “una Guantanamo”, ‘bacchetta’ le opposizioni rimproverandole di aver prima gridato allo scandalo per poi sentenziare sui ritardi. Opposizioni che rumoreggiano e puntano il dito contro una missione che ha il sapore “della passerella elettorale”, l’accusa. Riccardo Magi, segretario di +Europa, arriva a sorpresa a Shengjin pronto a rompere le uova nel paniere di Meloni, gridando all’’hot-spot’ elettorale, uno spot, accusa, che costerà agli italiani un miliardo di euro, mentre la presidente del Consiglio, in conferenza stampa, snocciola numeri che, a suo dire, permetteranno addirittura risparmi (136 mln a regime) per le casse dello Stato: il costo per le due strutture ammonterà a “134 milioni l’anno”, che si traducono in “670 milioni” per i 5 anni previsti dall’intesa.

Ma quando Meloni lascia l’hotspot, diretta a Roma, accade l’imprevisto: Magi inscena una protesta solitaria ma incisiva, blocca le auto della delegazione italiana munito di un cartello col suo ‘j’accuse’. Ne nasce un parapiglia con la sicurezza albanese, Meloni è costretta a scendere dall’auto per invitare gli uomini che ‘braccano’ il segretario di +Europa -indomabile nella sua camicia macchiata di sangue- a lasciarlo andare: “è un parlamentare italiano”, spiega. Ma poi, visibilmente irritata, risponde per le rime alle accuse di Magi, “io la capisco -punge- ho fatto un sacco di campagne elettorali in cui non sapevo se avrei superato la soglia di sbarramento, le sono totalmente solidale, le do una mano volentieri…”.

Ne nasce un battibecco al vetriolo, “se accade questo a un parlamentare italiano – grida Magi a favore di telecamere – potete immaginare cosa accadrà ai poveri cristi che verranno portati qui”. “Seee, non è uno stato di diritto. Seee, poveri cristi”, gli fa il verso spazientita Meloni. “E’ una legislazione italiana ed europea, lei non è il segretario di +Europa? Non voleva più Europa? Che più Europa è”, chiede prima di risalire in macchina con, a seguire, uno scambio di “si vergogni” reciproco.

Anche in conferenza stampa, messa di fronte all’accusa delle opposizioni che le rimproverano sprechi, risorse che potevano essere dirottare sulla sanità -da Schlein a Conte fino a Renzi, per una volta tutti d’accordo- Meloni picchia duro. “Quali sono le risorse che si potevano spendere in sanità e che non sono servite a risolvere un problema? – chiede polemica – I 17 miliardi di euro che sono andati nelle truffe del Superbonus? Soldi tolti ai malati per darli a dei truffatori. Quelle sono risorse che sono state spese non per risolvere dei problemi: sono state gettate dalla finestra. Se avessi avuto quei 17 miliardi di truffe stimate ad oggi, volentieri le avrei messe sulla sanità. Purtroppo sono state gettate per darle a gente che voleva truffare lo Stato”. E mentre Rama spara a zero sulla stampa italiana, lei rifiuta le accuse di essere volata in Albania per meri fini elettorali.

“Non ho fatto campagna elettorale, continuo a fare il mio lavoro. Quello che non posso fare è scomparire – mette in chiaro -. Vado a Caivano ed è uno spot elettorale, vado in Albania ed è uno spot elettorale, vado a firmare un accordo di coesione ed è uno spot elettorale …non posso sospendere il mio lavoro per un mese, spiace non me lo posso permettere”.

A Gjader prima e Shengjin poi Meloni è arrivata per un doppio sopralluogo finalizzato a fare il punto su una partita su cui l’Italia punta tantissimo in Europa. Tra meno di sessanta giorni si parte, i due centri accoglieranno inizialmente circa mille persone, poi, gradualmente, si arriverà ai 3mila previsti dall’accordo. Che “funzionerà”, si dice Meloni convinta, per essere poi “replicato in molti altri Paesi”, con l’Italia a far da apripista. La prova, per la premier, è nella lettera che tre settimane fa 15 Paesi dell’Unione su 27 hanno inviato alla Commissione europea, chiedendo di adottare la stessa strategia pianificata da Meloni e Rama.

E che, in Albania, si traduce nella struttura al porto di Shengjin dove si effettueranno “screening sanitari, identificazione, formalizzazione della domanda di asilo” per migranti “salvati in acque internazionali, da navi italiane ufficiali” esclusi “minori, donne, anziani, vulnerabili e fragili”. Mentre a Gjader, nella struttura che verrà tirata su nelle prossime settimane, verranno eseguite le “procedure accelerate di frontiera, in massimo 28 giorni” per tutti i migranti che, ripescati in mare, arrivavano da Paesi sicuri. Sempre a Gjader, si svolgeranno anche “funzioni di Cpr, per coloro che non hanno titolo a entrare e sono in attesa del rimpatrio”, con “un’area di detenzione per i reati eventualmente commessi all’interno dei centri”. In entrambi gli hotspot la “giurisdizione è italiana, con personale italiano”, mentre l’Albania, come da Memorandum siglato a novembre, collaborerà per la “sicurezza e sorveglianza” all’esterno. La gestione dei due centri è affidata a Medihospes, il trasporto verrà effettuato “da navi governative italiane” ma “da settembre”, conferma la premier, ci sarà il noleggio di un traghetto, un “hotspot flottante” per una spesa di 13,5 milioni.

“Il ricorso al noleggio di navi private – ha quindi messo in chiaro la presidente del Consiglio – è una misura cautelare dovuta alla situazione internazionale”, crisi del Mar Rosso compresa. La deadline è fissata il 1 agosto, quando tutti i riflettori torneranno ad accendersi per vedere se l’accordo funziona, se ogni tassello combacia con l’altro ed è al suo posto. Ne è consapevole Meloni, lo è altrettanto Rama, che si difende con rabbia dalla pioggia di accuse che gli sono cadute addosso: “se sarà un errore sarà stato fatto col cuore, non con calcoli malvagi”.

La premier, che lo osserva dal suo metro e sessanta mentre lui svetta sopra i due metri, gli rinnova a più riprese “solidarietà e vicinanza”, “mia, del governo italiano e del popolo italiano per gli attacchi che Rama e l’Albania hanno ricevuto da quando hanno deciso di offrire questo aiuto. C’è stata una grandissima campagna denigratoria, è stato dipinto un narco-Stato controllato dalla criminalità ma è un racconto che non torna. Penso che la vera ragione non sia attaccare il governo albanese”, “non è Rama il bersaglio se può essere di consolazione”, dice, bensì il governo italiano.

E anche qui, Meloni non perde l’occasione per duellare a distanza con le opposizioni. “Quando, per attaccare il governo, si mette in mezzo un partner internazionale – ammonisce -, si rischia di fare non un danno al governo ma un danno all’Italia: il rischio è che domani ci siano meno nazioni disposte a stringere accordi con noi”. Ed è così, con un monito, che chiude la conferenza stampa, pronta a lasciare l’hotspot di Shengjin per imbattersi, ignara, nell’agguato di Magi. (dall’inviata Ileana Sciarra)

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