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Mo: un anno fa l’attacco, sopravvissuti vogliono tornare nel kibbutz di Be’eri

6 Ottobre 2024

Tel Aviv, 6 ott. (Adnkronos) – Abitazioni distrutte che a un anno di distanza presentano ancora i segni del massacro di Hamas. Nel di kibbutz Be’eri, uno dei simboli dell’attacco del 7 ottobre, dove sono state uccise oltre 100 persone, di alcune case restano in piedi soltanto le mura. I tetti sono crollati e le finestre frantumate, i pavimenti sono disseminati di detriti. Eppure, documenta la Cnn, alcune persone sono determinate a tornare nei luoghi dove intere famiglie sono state sterminate. In alcune zone di Be’eri, a malapena un edificio è rimasto intatto.

Più di 100 dei suoi 1.100 residenti sono stati uccisi e altri 30 sono stati rapiti il 7 ottobre. Una casa dopo l’altra è stata bruciata o ridotta in macerie e molte rimangono come toccanti monumenti di un trauma ancora in corso. Almeno 10 residenti del kibbutz sono tra gli oltre 100 israeliani che si ritiene siano ancora tenuti in ostaggio.

Nell’edificio amministrativo principale di Be’eri, due grandi fotografie aeree sono appese una accanto all’altra vicino all’ingresso. Una è un’immagine del kibbutz dell’aprile 2023, che mostra file ordinate di edifici bianchi e ordinati immersi in giardini rigogliosi. L’altra, scattata subito dopo l’attacco del 7 ottobre, mostra le stesse case annerite e distrutte dalla furia dei militanti.

“Hanno ucciso mia sorella laggiù”, dice Amit Solvy, indicando una casa sulla mappa, cinque file più avanti rispetto alla recinzione che circonda il kibbutz. In un’altra parte dell’edificio amministrativo, sono attaccati due manifesti a una finestra: uno mostra i nomi e i volti degli abitanti del kibbutz uccisi, e un altro elenca quelli tenuti in ostaggio.

Solvy, il responsabile finanziario di Be’eri, lui stesso un veterano israeliano della guerra arabo-israeliana del 1973, è uno dei quasi 100 residenti tornati. E’ rientrato a casa sua tre mesi fa e ora sta aiutando a guidare gli sforzi per riportare in vita il kibbutz Be’eri, un tempo una comunità agricola autosufficiente. “Ho detto a tutti che il miglior modo di superare il trauma è tornare a casa. Questo è il miglior recupero emotivo, secondo me”, ha detto Solvy.

Ma riconosce che non tutti la pensano allo stesso modo, stimando che fino al 15% dei residenti sopravvissuti di Be’eri potrebbe non fare mai ritorno a causa del trauma e dei ricordi del 7 ottobre. E molti di coloro che vogliono tornare, aggiunge, non potranno farlo finché i danni ingenti non saranno riparati e le case ricostruite: un massiccio progetto di ristrutturazione che, secondo Solvy, significa che ci vorranno almeno 2 anni prima che la maggior parte dei residenti possa tornare a casa. “Non ci sono infrastrutture per i bambini, non ci sono scuole, quindi le persone con famiglia non possono ancora tornare”.

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