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Olivotto (UniFi): “Identificare cardiomiopatie per prevenire morte improvvisa”

19 Marzo 2024

Roma, 19 mar. (Adnkronos Salute) – Colpisce sportivi e persone che non praticano attività fisica, la cardiomiopatia che “in forma lieve” permette “una vita completamente normale, ma l’obiettivo è identificare queste persone per prevenire la morte improvvisa” e curarle grazie anche a “nuove terapie mirate”. Lo ha detto all’Adnkronos Iacopo Olivotto, responsabile dell’Unità di cardiomiopatia Dipartimento di medicina sperimentale e clinica università di Firenze, oggi al Senato, nel corso della presentazione del report italiano sulle cardiomiopatie, iniziativa che rientra nel progetto ‘Cardiomyopathies Matter’, promosso da Bristol Myers Squibb a livello europeo e ora anche in Italia. Emblematico è il caso di “Domenico Fioravanti, campione olimpico di nuoto che aveva una cardiomiopatia ipertrofica – continua lo specialista – In molti Paesi avrebbe continuato a gareggiare mentre in Italia è stato fermato per le leggi sullo sport”. I calciatori Davide Astori e Piermario Morosini sono stati vittime di “cardiomiopatie aritmogene. Fioravanti per fortuna sta benissimo, è stato bloccato proprio per prevenire i rischi”.

Gli atleti, ma anche le persone che hanno “forme molto lievi, stanno benissimo, però sono a rischio di aritmia – spiega Olivotto – All’altro estremo abbiamo invece i pazienti che hanno delle forme che portano a uno scompenso gravissimo perché il cuore perde forza, diventa tessuto cicatriziale, e quindi va incontro al classico scompenso” che può richiedere “il trapianto. Per esempio – ricorda l’esperto – Massimo Troisi”, il famoso attore, “aveva una cardiomiopatia dilatativa primitiva. Quando ha girato ‘il Postino di Neruda’, suo ultimo film, era già in una fase molto avanzata” di malattia, “aveva un muscolo che aveva perso forza. Con le terapie attuali forse avrebbe potuto fare qualcosa di più”.

Tra i sintomi a cui prestare attenzione ci sono “la dispnea, il cardiopalmo protratto, la sincope”. In particolare, la sincope “senza preavviso è un sintomo fondamentale – sottolinea Olivotto – un grande campanello d’allarme, specialmente durante l’attività fisica. Poi c’è la presenza di dolore toracico ricorrente da sforzo. Un’angina che è diversa però dall’angina dalla coronaropatia, cioè è legata ad altri meccanismi”. Olivotto traccia poi il tipico identikit del paziente con cardiomiopatia: “una persona con circa quaranta anni di età che va a fare un controllo cardiologico perché magari da molto tempo ha dei disturbi che non erano stati mai inquadrati, forse di digestione, forse perché fuma, forse per problemi ai polmoni. In realtà poi si sottopone a un elettrocardiogramma il cui risultato è molto alterato, e da lì arriva la diagnosi. Però – avverte – la cardiomiopatia può colpire anche bambini neonati o novantenni”.

Sul fronte delle cure, “esistono, delle terapie standard che sono quelle per lo scompenso – illustra Olivotto – che noi utilizziamo anche per tantissime altre cardiopatie e che sono terapie già molto avanzate, ma vanno bene un po’ per tutti i pazienti che hanno lo scompenso. Poi però nelle singole eziologie, a seconda delle cause abbiamo alcune malattie genetiche, per esempio, la malattia di Fabry, in cui c’è una carenza enzimatica, e io posso dare l’enzima. Ci sono malattie come la cardiomiopatia ipertrofica, per esempio”, per cui c’è “questo nuovo farmaco di Bms, che agisce in maniera molto specifica sul tipo di problema del paziente. Quindi cominciano ad esserci della terapie di precisione, come le ‘small molecule’ e le terapie geniche che sono in fase assolutamente sperimentale ma che per i pazienti giovani cominciano a emergere. Nei prossimi dieci anni ci sarà un’esplosione”.

Se nelle forme molto lievi le persone possono avere una vita normale, “nelle forme più gravi – conclude Olivotto – per esempio in quelle ipertrofiche, dopo un intervento o in seguito all’accesso a uno di questi nuovi farmaci”, i pazienti possono “non avvertire più i sintomi e avere un’aspettativa di vita che diventa normale”. Ma questo “purtroppo riguarda piccoli sottogruppi, non è la regola ma un’eccezione. Di regola sono pazienti che non hanno terapie specifiche”.

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