**Partiti: dall’intuito di Pannella ai brand di Berlusconi, tutte le giravolte dei simboli**
Roma, 21 nov (Adnkronos) – Alzi la mano chi non l’ha mai fatto. Non solo pensato, ma fatto. Perchè in ogni partito, prima o poi, c’è stato un vertice o un caminetto convocato per discutere del cambio del simbolo elettorale. Rianimato da Fratelli d’Italia, alle prese in questi giorni con i dubbi sulla fiamma, il dibattito sul logo è tornato di attualità. Giorgia Meloni e fratelli, però, sono in buona compagnia: gli esempi sulle vicissitudini ‘grafiche’ dei partiti si perdono nel tempo.
Nella prima Repubblica una delle storie più gustose è quella dei Radicali. Come sempre, quando c’è di mezzo Marco Pannella le sorprese non mancano. In origine i Radicali si presentano con un simbolo giacobino: ‘la Marianna’, la donna con l’elmo, una sorta di Minerva. Poi, siamo ai primi anni ’70, Francoise Mitterand incontra Giacomo Mancini e Marco Pannella e offre ai compagni italiani il simbolo (opera di Marc Bonnet) con cui il Parti socialiste aveva trionfato in Francia dopo la svolta di Epinay. Mancini, raccontano le cronache, rifiuta: il Psi non può mettere in soffitta falce martello, libro e sole presenti del simbolo.
Pannella non si fa pregare e, al volo, adotta la Rosa nel pugno (le poing et la rose) che diventa la ‘bandiera’ delle battaglie Radicali di quegli anni, dal divorzio all’aborto. Il nuovo simbolo “era più coerente con le nostre scelte non violente”, dice Gianfranco Spadaccia. E’ un successo, non solo dal punto di vista grafico. Unico intoppo: Bonnet fa causa ai Radicali, vince in Tribunale e nei primi anni ’80 Pannella paga 60 milioni di lire al disegnatore.
(Adnkronos) – Il cambio di simbolo (e non solo) più celebre della politica di quegli anni è però quello che ha visto protagonista il Pci, con la svolta della Bolognina dell’89. Il 10 ottobre 1990 Achille Occhetto presenta il simbolo del Pds, il partito ‘erede’ del Pci, che mantiene la falce e martello anche se in piccolo e in basso. L’ha disegnato Bruno Magno, che lavorava all’Ufficio grafico di Botteghe oscure. “La Quercia non è tra le cose più belle che io abbia potuto fare”, ammette anni dopo Magno in un libro.
Nella primavera di quell’anno era stato Walter Veltroni a chiedergli, dietro massima discrezione, di mettersi al lavoro sul nuovo logo. Occhetto, quel giorno, prova a rassicurare tutti: “Nulla viene liquidato ma tutto rinnovato con un atto fecondo di rigenerazione”. In quei giorni, poco distante da Botteghe Oscure, le cose vanno diversamente. Nella sede di via del Corso, nell’ottobre del ’90, Bettino Craxi convoca una Direzione del Psi e annuncia: “Nel simbolo del Psi la scritta Partito socialista viene sostituita da quella Unità socialista”.
Ugo Intini si affretta a spiegare ai compagni spiazzati da Craxi: “Lui ha messo sotto il simbolo del nostro partito ‘Unità socialista’ come per dire ‘qui dovete venire'”. La proposta del leader socialista, ovviamente, passa all’unanimità in Direzione. Per usare le parole di Giorgio Benvenuto, le “forti preoccupazioni di molti compagni” restano sullo sfondo. Nella seconda Repubblica il ‘principe’ dei simboli, come di tante altre cose, è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha stravinto le sue prime elezioni nel ’94 con Forza Italia, un ‘brand’ che si dimostra subito forte.
(Adnkronos) – Ma Berlusconi è sempre inquieto e così nel 2001 fonda la Casa delle libertà, innovando nome e simbolo nell’uninominale. E’ tutto? Per niente, qualche anno dopo (2007) convoca a sopresa la stampa al Tempio di Adriano, nel centro di Roma, location tenuta top secret fino all’ultimo e fermata nottetempo. Casualmente, la stessa in cui Walter Veltroni aveva presentato il ‘suo’ Pd. Il Cavaliere sale sul podio, davanti a lui giornalisti, qualche parlamentare e un drappello di giovani di FI. Improvvisamente, alle sue spalle appare il logo Popolo delle libertà. Si cambia di nuovo.
Poco dopo, in pieno stile Berlusconi, in una trasmissione di Canale 5 il Cavaliere anticipa che nel Popolo delle libertà entrano sia FI che An, il partito di Gianfranco Fini che, nato dalla svolta di Fiuggi, ha mantenuto quella fiamma nel simbolo (con la scritta Msi) di cui oggi FdI discute tanto. Berlusconi non chiude qui, perchè per le elezioni del 2018 ripropone Forza Italia con un ritorno al simbolo del ’94.
Difficile tenere il passo di Berlusconi, ma ci ha provato negli ultimi anni la Lega. Per il partito di Salvini un cambiamento di denominazione ‘storico’ c’è stato, quello che ha visto abbandonare il simbolo e il logo originario e ‘bossiano’, Lega Nord per l’indipendenza della Padania, per il Lega Salvini premier che mantiene ancora oggi. Dall’altra parte i loghi (e i partiti) si sono susseguiti soprattutto a sinistra, con Rifondazione comunista che è diventato Sinistra arcobaleno, poi Sel-Sinistra ecologia e libertà, poi Liberi e uguali.
(Adnkronos) – E il Pd? Nemmeno i dem sono rimasti immuni dalla tentazione del ‘ritocchino’ al simbolo. A parte vari tentativi attribuiti a Matteo Renzi ai tempi in cui era alla guida del Nazareno, il più recente è quello (fallito) della segretaria Elly Schlein. In occasione delle ultime europee, nella Direzione che avrebbe votato le liste elettorali ‘spunta’ un facsimile del logo dem con il nome Elly Schlein bene in vista.
Alcuni Big dem strabuzzano gli occhi. Vero o no, dal Nazareno trapela la proposta fatta da qualche fedelissimo della segretaria: “O Elly si candida ovunque o mettiamo il nome nel simbolo del Pd”. Seguono discussioni e tensioni varie, che arrivano a poche ore dalla ‘dead line’ per il deposito delle liste. Ci pensa la stessa segretaria a fermare tutto, con una diretta Instagram cui annuncia che nel simbolo dem non ci sarà nessun nome: “Nel dibattito di queste ore mi è sembrata più divisiva che rafforzativa, questa proposta”.
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