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Referendum: Craxi e Renzi, la Dc e il Re, l’effetto farfalla e le conseguenze (anche) politiche

4 Giugno 2025

Roma, 4 giu (Adnkronos) – “Una cavolata”. Nel ’91, quando la stella di Mario Segni brilla luminosa, Ciriaco De Mita liquida così il referendum contro le pluri preferenze promosso da ‘Mariotto’, quello che mette nel mirino il sistema del trio Craxi, Andreotti, Forlani al timone del Paese. Il Caf. De Mita sottovaluta l”effetto farfalla’ del referendum: il quesito è sulle preferenze, ma provoca un uragano politico. L’esito è da record: il 95,6% degli italiani è per il sì. E il referendum assesta la spallata alla Prima Repubblica. Nonostante l”andate al mare’ di Craxi.

In fondo è il dibattito eterno di ogni referendum, anche di questi giorni. Quello che si concentra sull’astensione, proprio come per il voto dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza. Con la premier Meloni e il suo, “vado a votare ma non ritiro la scheda”. E la leader del Pd Elly Schlein che spinge sui 5 sì sperando di contare, quorum o no, un numero consistente di votanti da capitalizzare per le politiche.

Le conseguenze politiche del referendum hanno fatto vittime illustri, a partire dalla Dc. Il primo quesito su una legge è quello del ’74, sul divorzio. Amintore Fanfani, contrarissimo al divorzio come tutta la Democrazia cristiana, ottiene l’abbinata sì alla legge sul divorzio e approvazione della legge istitutiva del referendum. Nei piani della Dc, il verdetto del Parlamento si poteva così ribaltare nel Paese.

(Adnkronos) – Si sbagliava. Il 59,1% dice no all’abrogazione del divorzio. Una debacle per la Balena bianca. Qualche anno dopo, siamo nell’81, l’asticella sale. E non di poco. Perché l’onda lunga del referendum arriva oltre Tevere e a finire sotto è addirittura il Papa. Tra i quesiti sottoposti agli italiani quella primavera c’è anche quello promosso dal Movimento per la vita, per abrogare la legge sull’aborto.

Tra gli sponsor del Movimento, oltre alla onnipresente Dc, c’è il Vaticano e Giovanni Paolo II (che pochi giorni prima del voto resta vittima dell’attentato a piazza san Pietro), tutti per la difesa del “diritto alla vita”. Il risultato è netto: 68% per il no e il 32% per il sì. Nonostante l’endorsement papale.

Nell’85 a presentarsi all’incasso ‘politico’ del voto referendario c’è un solo protagonista: Bettino Craxi. Dall’altra parte, con le ossa rotte, si ritrovano Cgil e Pci, da poco orfano della guida di Enrico Berlinguer. Gli italiani si sono espressi sul decreto San Valentino con cui il governo socialista di allora taglia la scala mobile. Comunisti e sindacato fanno quadrato per l’abrogazione. Craxi, come d’abitudine, gioca pesante: “Se perdo, me ne vado”. Vince. No all’abrogazione del decreto, dice il 54,3% degli italiani.

(Adnkronos) – Il referendum, e le sue conseguenze, restano una vera riffa per la politica. Anche per i leader più ‘sgamati’. Anche Silvio Berlusconi pesca, nel 2006, il numero sbagliato. Si vota sulle riforme costituzionali del Cavaliere: al popolo italiano non piacciono e il no prevale con il 61,29%. Ma se si parla di effetti referendari al di là del merito del quesito bisogna andare a chiedere a Matteo Renzi.

Nel 2016, dopo il no referendario alla ‘sua’ riforma istituzionale, parte una slavina che arriva prima a palazzo Chigi e poi al Nazareno. Renzi lascia prima il governo e poi la guida del Pd. Con rispetto per premier e Papi resta da segnalare che nella sua lunga storia il referendum colpisce, eccome, anche i Re. La consultazione non è abrogativa o confermativa, ma istituzionale. E’ la più famosa, quella del 2 e 3 giugno 1946, si sceglie tra monarchia e Repubblica: 12.717.923 italiani scelgono la seconda opzione e il 13 giugno del ’46 re Umberto saluta e lascia l’Italia per sempre, con l’esilio di Casa Savoia.

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