Regionali, Follini: “Tutti siano umili per sopravvivere a illusioni”
Roma, 3 mar. (Adnkronos) – “Dopo aver sconfitto Napoleone, il duca di Wellington si lasciò andare alla malinconia e annotò che nella vita non c’era niente di più triste dei sentimenti provati all’indomani di una battaglia vinta. A parte -s’intende- quelli ancora più tristi che si provavano all’indomani di una battaglia persa.
Ora i nostri eroi, accampati di qua e di là dei provvisori recinti di maggioranza e opposizione, devono forse aver provato a turno qualcosa del genere. Compiaciuti di aver vinto, quando è capitato. Eppure consapevoli delle insidie che ogni vittoria contiene. Tanto più in democrazia. E se invece non hanno provato niente di tutto questo si consiglia loro di correre ai ripari.
Infatti è sempre la hubrys, come dicevano gli antichi, che contiene le più grandi insidie. Ed è assai probabile che l’ebbrezza del successo di un anno e mezzo fa, alle politiche, abbia indotto Meloni a sopravalutare le sue forze e a trovarsi dalla parte degli sconfitti in quel della Sardegna. Come è possibile che il campo dell’opposizione -largo, giusto o santo che sia- si senta ora fin troppo ringalluzzito da quest’ultimo voto e si illuda che il successo della Todde preluda a un rovesciamento generale delle sorti politiche.
In realtà è sempre tutto molto relativo, e ogni successo andrebbe preso con le molle più di quanto di solito non si faccia. Poiché appunto il nostro è un paese diviso e attraversato da un’eccessiva faziosità. E quello che converrebbe alla politica, piuttosto che celebrare i fragili trionfi di volta in volta, sarebbe di dotarsi di quel tanto di umiltà utile a sopravvivere alle illusioni che vengono spesso generate da numeri piuttosto ballerini.
Si dirà che Meloni, al netto della Sardegna, può contare su una solida maggioranza parlamentare e su un consenso ancora piuttosto ampio. Nonché sul fatto che non si intravede, neppure all’orizzonte, un’alternativa così strutturata da rappresentare una seria minaccia all’egemonia del centrodestra (o destracentro che dir sia voglia). E’ vero. Ma è altrettanto vero che ogni maggioranza, di questi tempi, si trova a combattere su due fronti. Uno è quello dell’altra metà del campo politico. E l’altro è quello di tutte quelle persone, sempre di più, che non vanno a votare. Esprimendo così un sentimento di estraneità e di opposizione perfino più minaccioso.
Anche per questo alla premier converrebbe assumere, di qui in poi, una postura meno partigiana. E piuttosto che irridere i propri avversari e radicalizzare lo scontro politico, l’antica saggezza dovrebbe indurla a parlare a quella larga parte del paese che non la sostiene ma neppure la avversa troppo e che chiede a lei, come agli altri, di abbandonare la trincea della faziosità e perfino quella -apparentemente più nobile- della esagerata passione per le proprie ragioni e per i propri cari.
La sconfitta della destra in Sardegna è figlia appunto di un eccesso di confidenza. Tentazione che appare sempre dietro l’angolo di ogni stagione e di ogni contesa. Si dirà che gli stessi difetti e le stesse tentazioni fioriscono sotto le bandiere della sinistra e perfino sotto quelle, assai più ripiegate, del centro. Ma appunto per questo sarebbe utile a tutti cambiare registro. E considerare che a lungo andare, in un paese così diviso e frammentato, la vittoria finirà per arridere a chi avrà la maggiore capacità di guardare oltre lo steccato della propria metà campo.
Parole al vento, probabilmente. E infatti già in Abruzzo, e più avanti in Basilicata, si sentono rullare i tamburi di guerra e si annunciano da una parte e dall’altra argomenti e tonalità non troppo diversi da quelli appena risuonati nei comizi sardi. Sono le avvisaglie di quel confronto elettorale europeo che un po’ tutti considerano come la conferma oppure come la rivincita delle elezioni politiche di un anno e mezzo fa. Così però tutto resta precario, e le illusioni e le suggestioni di ogni battaglia evaporano in fretta non appena si profila una nuova sfida.
Ci viene risparmiata in questo modo la malinconia del duca di Wellington. Forse in cambio dell’illusione che le prossime vittorie abbiano un carattere “napoleonico”. Cosa che non è, quasi ma”.
(di Marco Follini)
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