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Salute, Ortona (Iss): “Cause cardiovascolari per 46% morti donne e 38% uomini”

7 Marzo 2025

Roma, 7 mar. (Adnkronos Salute) – “Le malattie cardiovascolari sono sempre state considerate appannaggio esclusivo degli uomini, ma in realtà sono la principale causa di morte nelle donne: il 46% delle morti tra le donne è dovuto a cause cardiovascolari, contro il 38% degli uomini”. Lo ha detto Elena Ortona, direttrice del Centro di medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità e componente scientifica dell’Osservatorio sulla medicina di genere, all’evento ‘Le donne verso un cuore consapevole, ideato e promosso oggi a Milano da Daiichi Sankyo Italia per mettere in evidenza i fattori di rischio cardiovascolare specifici per le donne e la loro prevenzione.

Una così elevata mortalità per eventi cardiovascolari tra le donne è dovuta “probabilmente anche a una sottostima, da parte delle donne, ma anche dei medici stessi, dei sintomi legati a queste malattie – sottolinea Ortona – Pensiamo ad esempio all’infarto del miocardio: nell’uomo si manifesta classicamente con il dolore al braccio sinistro, ma nella donna i sintomi sono spesso molto più sfumati, come dolore intestinale, nausea e grande stanchezza. Molto spesso, una donna che si reca al pronto soccorso con questi disturbi molto forti viene ricoverata nel reparto di Gastroenterologia e questo chiaramente si tradurrà in un ritardo nella diagnosi, in un ritardo nella terapia e, quindi, una mortalità più elevata”. Diventa dunque “assolutamente necessario rendere il personale sanitario consapevole delle differenze delle manifestazioni cliniche e della sintomatologia di queste malattie negli uomini e nelle donne – aggiunge l’esperta dell’Iss – Altrettanto importante è anche la comunicazione e la divulgazione di questi aspetti alla popolazione, perché ogni persona deve essere consapevole dei propri bisogni di salute, dovuti anche alle peculiarità del genere”.

Anche per quanto riguarda “i farmaci queste differenze sono molto importanti – evidenzia Ortona – Sappiamo che i farmaci sono testati su un corpo maschile e, anche quando vengono arruolate le donne nei trial, i risultati non vengono analizzati in maniera disaggregata per sesso”. In questo modo “non si mettono in evidenza le differenze né sulla tollerabilità né sull’efficacia del farmaco. Vanno quindi analizzati e compresi tutti questi aspetti, va considerato che la medicina per l’uomo e quella per la donna sono differenti e vanno considerate entrambe per poter raggiungere l’equità e l’appropriatezza delle cure in maniera veramente efficace”.

A tale proposito, “l’Italia ha una legge, la 3-2018, prima in Europa di questo tipo, che nell’articolo 3 assicura la considerazione del determinante di genere nei percorsi clinici, nella ricerca, nella formazione e nella comunicazione – chiarisce l’esperta – Nonostante questo, bisogna fare ancora un grosso sforzo” anche in termini di “investimenti. Senza la possibilità di investire è chiaramente molto difficile arrivare a sperimentazioni che siano bilanciate per uomini e per donne, perché chiaramente per raggiungere la significatività statistica bisogna raddoppiare i numeri. Se da una parte questa sembrerebbe una spesa, almeno inizialmente, molto maggiore, il risparmio poi è evidente, perché molti farmaci sono stati tolti dal commercio proprio perché davano degli effetti avversi importanti nel sesso femminile”.

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