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Tumori, Aiom: “In Italia 14 mesi prima di accedere a farmaci innovativi”

13 Settembre 2024

Barcellona, 13 set. (Adnkronos Salute) – È pari a un anno e mezzo (559 giorni, circa 18 mesi) il tempo medio in Europa (nel 2023) per disporre dei nuovi farmaci anticancro, tempi che si sono allungati di oltre un mese rispetto al 2022, quando erano pari a 526 giorni. L’Italia è più rapida rispetto alla media europea, però i pazienti oncologici del nostro Paese devono aspettare ancora 417 giorni, cioè quasi 14 mesi, per accedere ai trattamenti anticancro innovativi. Basta pensare che in Germania, che si colloca al primo posto in questa classifica, sono sufficienti 3 mesi (93 giorni). Da qui la necessità di nuovi modelli per consentire l’immediata disponibilità delle terapie salvavita, partendo dall’abolizione dei Prontuari terapeutici regionali (Pts), ancora presenti in 12 Regioni (Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia). La richiesta viene dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), nella conferenza stampa ufficiale della società scientifica al Congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo), che si apre oggi a Barcellona.

“I farmaci autorizzati da Ema, l’agenzia regolatoria europea, vengono commercializzati negli Stati membri dopo periodi più o meno lunghi, che possono essere anche molto diversi – afferma Francesco Perrone, presidente Aiom – Il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione all’Ema e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella Regione italiana che per prima rende disponibile il farmaco si aggira intorno a 14 mesi. Tempi che si sono ridotti rispetto a 5-10 anni fa, quando superavano 2 anni, ma ancora troppo lunghi perché possono penalizzare fortemente i malati oncologici. Per ridurre i tempi di latenza, devono essere aboliti i Prontuari terapeutici regionali e va consentita l’immediata disponibilità dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche nelle more delle gare regionali”. Dopo l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali -sostengono gli esperti – ulteriori ritardi possono essere causati dalle procedure burocratiche per l’inclusione anche nei Prontuari terapeutici ospedalieri.

“Vogliamo collaborare con l’Agenzia italiana del farmaco, per definire nuovi modelli – continua Perrone -. Anche il presidente Aifa, Robert Giovanni Nisticò, ha evidenziato l’importanza di garantire procedure celeri, rigorose ed efficienti e fare in modo che i farmaci autorizzati siano effettivamente disponibili per il paziente in tempi rapidi in un’ottica di appropriatezza, sostenibilità ed efficienza. Siamo inoltre preoccupati per i lunghi tempi richiesti per l’approvazione degli studi clinici, che rendono i centri italiani meno competitivi rispetto a quelli degli altri Paesi. Nonostante vi siano regole, come il modello di contratto unico, non vengono applicate in Italia. Restano quindi difficoltà burocratiche nelle sperimentazioni che prolungano i tempi di approvazione e attivazione”.

“Nonostante il Regolamento europeo n.536 del 2014 per la ricerca clinica abbia stabilito tempi di autorizzazione allineati per tutti i Paesi membri (da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106 a partire dalla data di sottomissione), in Italia i processi amministrativi di approvazione risultano ancora più lunghi e difficoltosi rispetto alla media europea e fino al 2025 ci sarà un periodo transitorio di validità della vecchia normativa sugli studi in corso – spiega Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom – Inoltre, anche se vi è stata una significativa riduzione dei comitati etici, con 40 territoriali più 3 a valenza nazionale, è importante ripensare i processi a livello dei centri di sperimentazione, su cui ricadono tutti gli aspetti amministrativi, per restare competitivi”.

In generale, “è cruciale – sottolinea Di Maio – puntare ad un’armonizzazione e semplificazione delle procedure amministrative che in tanti casi comportano mesi di attesa prima di attivare le sperimentazioni cliniche nei centri italiani: questo mette a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e comunque ritarda l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti”.

Nel 2022, sono state autorizzate da Aifa 663 sperimentazioni e quasi il 40% ha riguardato l’oncologia, una percentuale costante negli ultimi anni. “In Italia – continua Di Maio – ogni anno migliaia di cittadini colpiti non solo da tumori ma anche da altre patologie, partecipando agli studi clinici, possono beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo, rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori possibilità di guarigione, ottenendo miglioramenti anche in termini di qualità di vita. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti e per la scienza, infatti il Servizio sanitario nazionale ottiene un beneficio anche economico grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial”.

È dimostrato che un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Ssn – evidenziano da Aiom – L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro.

“Il Regolamento europeo ha uniformato tra loro i Paesi europei ma ha allungato di fatto i tempi di approvazione rendendo nel complesso l’Europa meno competitiva rispetto alle altre macroregioni, per cui le aziende farmaceutiche tendono ad investire altrove – afferma Giuseppe Curigliano, presidente eletto Esmo e membro del Direttivo nazionale Aiom – Ad esempio, gli studi di fase I sempre più spesso iniziano negli Stati Uniti, Australia e Asia. È importante risolvere questi problemi, perché i risultati della ricerca scientifica sono evidenti”.

In Italia, nel 2023, sono stati stimati 395.000 nuovi casi di tumore. “In tre anni, l’incremento è stato di 18.400 diagnosi – ricorda Curigliano – Grazie anche alle terapie innovative, l’oncologia del nostro Paese ha fatto registrare importanti passi avanti, con migliaia di vite salvate. Dal 2007 al 2019, in Italia sono state evitate quasi 270mila morti oncologiche. E in Europa, dal 1988 a oggi, i progressi contro i tumori hanno salvato più di 6 milioni di vite. Il cancro è sempre più una malattia curabile e molti pazienti guariscono”.

Al Congresso Esmo “sono presentati studi che cambiano la pratica clinica in neoplasie in cui non vi erano reali progressi da decenni, come quella della cervice uterina localmente avanzata – fa notare Curigliano – È riservato grande spazio all’immunoterapia in diversi tumori, dal melanoma a quelli ginecologici, della mammella e della vescica. Senza dimenticare gli anticorpi farmaco coniugati che sono altamente selettivi per le cellule tumorali, riducendo al minimo i danni alle cellule sane circostanti e aumentando l’efficacia del trattamento. È approfondito anche il ruolo dell’intelligenza artificiale nella diagnostica molecolare e nelle terapie, per individuare i meccanismi di resistenza alle cure e offrire nuove opzioni”.

Un ruolo decisivo nella riduzione della mortalità è svolto anche dai programmi di screening. “È necessario investire di più nella prevenzione secondaria – avverte Saverio Cinieri, presidente Fondazione Aiom -. Nel 2023, in Italia, il 55% delle donne si è sottoposto alla mammografia per la diagnosi precoce del carcinoma mammario. Il 35% degli uomini e delle donne over 50 ha svolto la ricerca del sangue occulto nelle feci per il carcinoma del colon retto. Per la neoplasia alla cervice uterina il 41,5% delle donne ha effettuato il test Hpv o il Pap test. Sono dati in miglioramento rispetto agli anni precedenti, ma non bastano perché restano forti differenze regionali”.

“Servono campagne di informazione per sensibilizzare la popolazione e le nuove tecnologie dovrebbero essere maggiormente sfruttate per coinvolgere i cittadini. L’Unione Europea, infatti, chiede che il 90% della popolazione che soddisfa i requisiti per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto abbia la possibilità di eseguire questi esami entro il 2025”, conclude.

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