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Tumori, studio: “Con nuovo regime cura a 3 anni 77% pazienti libero da progressione”

12 Dicembre 2024

Roma, 12 dic. (Adnkronos Salute) – Un nuovo trattamento completamente orale a durata fissa può cambiare lo standard di cura in prima linea della leucemia linfatica cronica (Cll). I risultati positivi dello studio di Fase 3 Amplify mostrano che acalabrutinib di AstraZeneca in combinazione con venetoclax ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da progressione (Pfs) rispetto alla chemio-immunoterapia standard di cura nei pazienti adulti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza, con il 77% dei pazienti libero da progressione a 3 anni. Questi risultati, presentati al Congresso annuale 2024 dell’American Society of Hematology (Ash) che si è svolto recentemente a San Diego, sono stati al centro di un incontro con la stampa, oggi a Milano.

Lo studio Amplify – si legge in una nota – premiato come ‘Best of Ash’ 2024, ha mostrato, al follow up mediano di 41 mesi, che acalabrutinib più venetoclax ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 35% rispetto alla chemio-immunoterapia standard di cura (rapporto di rischio [HR] 0,65; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,49-0,87; p=0,0038). Acalabrutinib più venetoclax con obinutuzumab ha dimostrato una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte del 58% rispetto alla chemio-immunoterapia standard di cura (HR 0,42; 95% CI 0,30-0,59; p<0,0001). La Pfs mediana non è stata raggiunta nei due bracci sperimentali rispetto alla Pfs mediana di 47,6 mesi con la chemio-immunoterapia. I dati ad interim di sopravvivenza globale (Os) dimostrano una tendenza favorevole nominalmente statisticamente significativa con il nuovo regime (HR 0,33; 95% CI 0,18-0,56; p<0,0001), tuttavia i dati di Os erano immaturi al momento di questa analisi e lo studio continua a determinare la Os come endpoint secondario principale.

“Ogni anno, in Italia, si stimano circa 3mila nuovi casi di leucemia linfatica cronica. È una neoplasia ematologica caratterizza dall’eccessiva produzione di un particolare tipo di globuli bianchi, i linfociti B maturi – spiega Alessandra Tedeschi, specialista ematologo della Struttura complessa di Ematologia, Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, e uno degli autori dello studio Amplify -. La malattia ha un andamento clinico eterogeneo, infatti una percentuale significativa di pazienti non presenta sintomi, arriva alla diagnosi in seguito a controlli eseguiti per altri motivi e rimane stabile per molto tempo, senza necessità di terapia. In altri pazienti, invece, la malattia progredisce e determina sintomi come anemia, ingrossamento dei linfonodi, piastrinopenia o ingrossamento della milza. In questi casi diventano fondamentali i trattamenti. I pazienti sono, nella maggior parte dei casi, anziani, spesso con comorbidità determinate anche dall’età avanzata”.

La chemio-immunoterapia, “un tempo – continua Tedeschi – rappresentava lo standard di cura in prima linea, ma oggi è superata dalle terapie mirate, costituite dagli inibitori di Btk e di Bcl-2, anche in combinazione con altri farmaci. In particolare, acalabrutinib, inibitore di Btk di seconda generazione, ha già evidenziato benefici significativi in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine come monoterapia nel trattamento in prima linea. L’Ospedale Niguarda è il centro che, in Italia, ha arruolato il maggior numero di pazienti dello studio Amplify. Nel trial, che ha coinvolto 867 pazienti, sono stati confrontati i due regimi costituiti dalla ‘doppietta’ acalabrutinib più venetoclax, che è un inibitore di Bcl-2, e dalla ‘tripletta’ acalabrutinib più venetoclax e obinutuzumab, un anticorpo monoclonale, rispetto alla chemio-immunoterapia. Amplify paragona quindi 3 schemi di terapia in prima linea, tutti a durata fissa: la doppietta e la tripletta, con durata del trattamento di 14 mesi, e la chemio-immunoterapia per 6 mesi”.

Entrambi i bracci sperimentali hanno mostrato risposte durature, con tassi stimati di pfs a 36 mesi del 76,5% per acalabrutinib più venetoclax e 83,1% con l’aggiunta di obinutuzumab rispetto al 66,5% per la chemio-immunoterapia. I pazienti hanno anche mostrato una risposta considerevole in entrambi i bracci sperimentali con un tasso di risposta globale (Orr) del 92,8% con acalabrutinib più venetoclax e 92,7% con l’aggiunta di obinutuzumab, rispetto al 75,2% con la chemio-immunoterapia.

“Nei 2 regimi sperimentali con acalabrutinib – sottolinea Tedeschi – si evidenzia, quindi, un netto vantaggio rispetto alla chemio-immunoterapia, che è particolarmente evidente nei malati a più alto rischio, cioè nei pazienti con immunoglobuline di superficie non mutate. Sono state osservate anche risposte globali profonde, pari a circa il 93% in entrambi i regimi con acalabrutinib, e durature. Inoltre si conferma l’alto livello di tollerabilità di acalabrutinib. Le linee guida” europee “Esmo raccomandano l’utilizzo di terapie a durata fissa laddove sia stata identificata pari efficacia dei trattamenti. Da un lato, grazie alla possibilità di sospendere il trattamento, si riducono gli eventi avversi a lungo termine. Dall’altro, i clinici riescono a gestire meglio la malattia, con una sensibile riduzione dei costi per il sistema sanitario. Inoltre, il regime acalabrutinib più venetoclax è completamente orale, con ulteriori vantaggi per la qualità di vita dei pazienti, che possono ridurre gli accessi in ospedale, assumendo la terapia a casa”. La sicurezza e tollerabilità del trattamento sono risultate coerenti con il profilo di sicurezza già noto e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.

Al Congresso Ash sono stati presentati anche i risultati aggiornati dello studio Echo su acalabrutinib in combinazione con chemio-immunoterapia (bendamustina e rituximab) nel trattamento di prima linea di pazienti over 65 con linfoma mantellare. Questa neoplasia rappresenta il 6% dei linfomi non Hodgkin e si stimano in Italia, ogni anno, circa 860 nuovi casi. “Il linfoma mantellare è un tumore del sangue che ha origine nei linfonodi, diffusi in tutto l’organismo, e deriva dai linfociti B – afferma Carlo Visco, professore associato di Ematologia e coordinatore dell’Unità Linfomi all’Università di Verona – L’età media dei pazienti è di circa 65 anni. La malattia può presentarsi in diverse forme, ad esempio con l’ingrossamento di un linfonodo del collo, dell’ascella o dell’inguine oppure può localizzarsi a livello gastroenterico. Un’altra forma di presentazione è costituita da alterazioni dell’emocromo, ad esempio con aumento dei linfociti. La malattia è caratterizzata da una particolare aggressività clinica e da caratteristiche biologiche peculiari su cui si sta focalizzando, nonostante la relativa rarità, l’attenzione della ricerca scientifica”.

Echo è uno studio di fase 3 randomizzato con placebo nel braccio di confronto. Il regime di combinazione con acalabrutinib – chiarisce Visco -ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 27% rispetto alla chemio-immunoterapia, attuale standard di cura nei pazienti con linfoma a cellule mantellari non precedentemente trattati. A questo risultato si associa una tendenza favorevole, non significativa dal punto di vista statistico, ma importante clinicamente, nella sopravvivenza globale grazie alla nuova combinazione. Questo vantaggio è tanto più importante perché, nello studio Echo, i pazienti che presentavano progressione di malattia nel braccio con la terapia standard potevano passare al trattamento con acalabrutinib. L’aggiornamento dei dati dello studio, presentati al Congresso Ash, ha inoltre dimostrato un significativo vantaggio della sopravvivenza libera da progressione anche nelle sottopopolazioni ad alto rischio (pazienti con mutazione di Tp53, con alta cinetica cellulare o con morfologia blastoide), che sono le più difficili da trattare, ed è stata evidenziata una buona tollerabilità. Alla luce di queste evidenze, la combinazione acalabrutinib e chemio-immunoterapia ha il potenziale per modificare il paradigma della terapia di prima linea nei pazienti over 65 con linfoma mantellare”.

“Nella leucemia linfatica cronica, l’innovazione permette di guardare oltre i trattamenti basati sulla chemioterapia – sottolinea Rosalba Barbieri, vicepresidente Ail (Associazione italiana contro leucemie linfomi e mieloma) – Le nuove terapie consentono di attribuire un valore diverso al tempo vissuto con la malattia cronica e la qualità di vita diventa un aspetto fondamentale. Le prospettive offerte dalla nuova combinazione orale a durata fissa sono molto importanti anche da un punto di vista psicologico, perché il paziente, pur vivendo con una malattia cronica, è consapevole del termine finale del trattamento”.

La ricerca sta aprendo nuove strade anche in un tumore del sangue raro e aggressivo come il linfoma mantellare. “Terapie innovative – aggiunge Barbieri – hanno dimostrato di essere efficaci anche nelle sottopopolazioni ad alto rischio, salvaguardando anche in questi casi la qualità di vita. Ail da 55 anni è al fianco dei pazienti ematologici, supportando la ricerca scientifica per migliorare la loro qualità e aspettativa di vita e assistendo i pazienti e le famiglie in tutte le fasi del loro percorso con servizi adeguati alle loro esigenze”.

“L’onco-ematologia rappresenta una branca altamente specializzata della medicina, nella quale AstraZeneca si è avventurata con successo già da tempo – conclude Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology AstraZeneca – Abbiamo compiuto progressi significativi nel trattamento della leucemia linfatica cronica. Lo studio Amplify è fondamentale, perché combina acalabrutinib, un inibitore di Btk di seconda generazione, con venetoclax, esplorando un regime completamente orale a durata fissa. Questa nuova opzione terapeutica si propone come efficace e sicura per i pazienti con leucemia linfatica cronica non precedentemente trattata. Siamo inoltre entusiasti di espandere la nostra presenza nel campo dei linfomi, con un focus particolare sul linfoma mantellare. Con lo studio Echo, che prevede una nuova indicazione per acalabrutinib, puntiamo a introdurre una terapia mirata che rappresenterà un primo passo cruciale verso un cambiamento significativo, offrendo nuove speranze ai pazienti affetti da questa patologia. Grazie a Echo, stiamo segnando la nostra prima pietra miliare nel campo dei linfomi, con l’obiettivo di espanderci ulteriormente con la nostra pipeline, includendo il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma follicolare. Il nostro impegno verso l’innovazione continua, mirato a sviluppare una pipeline che risponda ai bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti onco-ematologici, integrando i risultati di una ricerca scientifica di rilievo. A testimonianza di questo impegno, AstraZeneca sta attualmente sviluppando 106 studi in oncologia, molti dei quali focalizzati sull’ematologia”.

Con acalabrutinib sono state trattate oltre 85mila pazienti in tutto il mondo ed è approvato per il trattamento della Cll, del linfoma linfocitico a piccole cellule (Sll) negli Stati Uniti e in Giappone; per la Cll nell’Ue e in numerosi altri Paesi a livello globale e in Cina per Cll e Sll ricorrenti o refrattari.

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