Allarme Gimbe, con autonomia rischio collasso al Sud e sovraccarico Nord
Milano, 21 mar. (Adnkronos Salute) – Il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata, approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, potrebbe segnare un punto di non ritorno nell’equità dell’assistenza sanitaria tra le Regioni italiane in un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Potrebbe portare al collasso la sanità delle Regioni del Sud, già in fondo alle classifiche per cure essenziali e aspettativa di vita. Al Nord invece si profila il rischio di sovraccarico da mobilità sanitaria. E’ l’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe nel Report ‘L’autonomia differenziata in sanità’, in cui si esaminano le criticità del testo del Ddl e il potenziale impatto sul Ssn delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute. La Fondazione esprimerà inoltre le proprie posizioni nel corso dell’audizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera.
In sanità “il gap tra Nord e Sud configura ormai una ‘frattura strutturale'”, evidenzia Gimbe nel report citando i dati sugli adempimenti ai Lea e quelli sulla mobilità sanitaria. “Alla maggior parte dei residenti al Sud non sono garantiti nemmeno i Lea”, continua l’ente, il che alimenta il fenomeno della mobilità sanitaria verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie. Gli autori del rapporto reputano impossibile, come spesso affermato, che le maggiori autonomie in sanità possano ridurre le diseguaglianze esistenti. Nel dettaglio, spiega Gimbe, dagli adempimenti ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) – le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket – valutati con la griglia Lea nel decennio 2010-2019, emerge che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella top five della classifica.
Con il nuovo sistema di garanzia che ha sostituito la griglia Lea, nel 2020 delle 11 Regioni adempienti l’unica del Sud è la Puglia, a cui nel 2021 si aggiungono Abruzzo e Basilicata. E sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni del Sud sono ultime tra quelle adempienti. E ancora, segnala la fondazione: nel 2022 a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 82,6 anni (media nazionale), si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, un gap di 3,2 anni. E in tutte le 8 regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, “spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali”.
L’analisi della mobilità sanitaria, prosegue l’analisi di Gimbe, conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord e la fuga da quelle del Centro-Sud: nel periodo 2010-2021 tutte le Regioni del Sud ad eccezione del Molise (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro, mentre sul podio per saldo attivo si trovano proprio le tre Regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie, si legge nel report. Nel 2021, su 4,25 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% della mobilità attiva si concentra in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9% del saldo passivo grava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.
Il raggiungimento degli obiettivi della Missione Salute del Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza) è “rallentato dalle scarse performance delle Regioni del Centro-Sud”: dagli over 65 da assistere in Adi “con abnormi obiettivi di incremento di circa il 300% per Campania, Lazio, Puglia e oltre il 400% per la Calabria”, all’attuazione del fascicolo sanitario elettronico con percentuali di attivazione e alimentazione molto basse; dal numero di strutture da edificare (Case della comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità) alla dotazione di personale infermieristico, “ben al di sotto della media nazionale soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria”. Il Ssn, fanno notare gli autori del rapporto, “attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sottofinanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi e/o ad aumentare le imposte” per evitare il piano di rientro.
“E se da un lato non si intravedono risorse né per rilanciare il finanziamento pubblico della sanità, né tantomeno per colmare le diseguaglianze regionali – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – dall’altro con l’autonomia differenziata le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno”. Il Comitato Clep, istituito per determinare i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), non ha ritenuto necessario definirli per la materia ‘tutela della salute’ in quanto esistono già i Lea, “ai quali tuttavia non corrisponde alcun fabbisogno finanziario”. Una “pericolosissima scorciatoia – commenta Cartabellotta – rispetto alla necessità di garantire i Lep secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale: infatti, senza definire, finanziare e garantire in maniera uniforme i Lep in tutto il territorio nazionale, è impossibile ridurre le diseguaglianze tra Regioni”.
Le maggiori autonomie già richieste da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto ne potenzieranno le performance sanitarie, “indebolendo ulteriormente quelle delle Regioni del Sud, incluse quelle a statuto speciale”, si legge. Nel report ci sono alcuni esempi: la maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale “provocherà una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose”; l’autonomia nella definizione del numero di borse di studio per scuole di specializzazione e medici di medicina generale “determinerà una dotazione asimmetrica di specialisti e medici di famiglia”; le maggiori autonomie sul sistema tariffario “rischiano di aumentare le diseguaglianze” nell’offerta dei servizi e favorire l’avanzata del privato. “Ecco perché suona autolesionistica e grottesca – dice Cartabellotta – la posizione favorevole all’autonomia differenziata dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal centrodestra, dimostrando che gli accordi di coalizione partitica prevalgono sulla tutela della salute delle persone”.
L’ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nel Mezzogiorno “rischia di generare un effetto paradosso nelle ricche Regioni del Nord” che, avverte il rapporto, non possono aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie. “Di conseguenza un massivo incremento della mobilità verso queste regioni rischia di peggiorare l’assistenza sanitaria per i propri residenti”. In tal senso, puntualizza Cartabellotta, “una ‘spia rossa’ si è già accesa in Lombardia, che nel 2021 si trova sì al primo posto per mobilità attiva (732,5 milioni di euro), ma anche al secondo posto per mobilità passiva (-461,4 milioni): in altre parole, un numero molto elevato di cittadini lombardi va a curarsi fuori regione”.
Tutte le Regioni del Mezzogiorno (eccetto la Basilicata) si trovano insieme al Lazio in regime piano di rientro, con Calabria e Molise addirittura commissariate, “status che impongono una ‘paralisi’ nella riorganizzazione dei servizi”. “Contrariamente agli entusiastici proclami sui vantaggi delle maggiori autonomie per il Meridione – ribadisce Cartabellotta – nessuna Regione del Sud oggi può avanzare richieste di maggiori autonomie in sanità”. Il Pnrr persegue il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni. “In tal senso l’impianto normativo del Ddl Calderoli – chiosa il presidente di Gimbe – contrasta proprio il fine ultimo del Pnrr, occasione per il rilanciare il Mezzogiorno, teso ad accompagnare il processo di convergenza tra Sud e Centro-Nord quale obiettivo di crescita economica, come più volte ribadito nelle raccomandazioni della Commissione europea”.
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