Aviaria, “casi umani sottostimati”: per esperte si rischia pandemia
Milano, 8 mag. (Adnkronos Salute) – I casi umani di aviaria sono sottostimati. E “se molti lavoratori delle aziende lattiero-casearie contraggono l’H5N1”, il virus aviario che circola tra le mucche in diversi stati Usa, “rischiamo una pandemia”. Jennifer B. Nuzzo, Lauren Sauer e Nahid Bhadelia, tre accademiche americane, lo scandiscono a chiare lettere in un intervento pubblicato sul ‘Washington Post’. Le misure “giustamente disposte” dal Dipartimento dell’Agricoltura per evitare che l’influenza aviaria si diffonda tra gli allevamenti bovini anche in altri stati del Paese, avvertono le tre esperte, “potranno ben poco contro la minaccia principale che l’H5N1 rappresenta per l’uomo: l’infezione dei lavoratori” delle imprese colpite. “La nostra incapacità di proteggerli”, ammoniscono, non solo “mette a rischio la loro salute”, ma “dà al virus l’opportunità di evolversi in” un patogeno che costituirebbe “un rischio maggiore per le persone, compresi coloro che vivono lontano dagli allevamenti”.
Nuzzo è docente di epidemiologia e direttore del Centro pandemico alla Brown University School of Public Health; Sauer è professore associato all’University of Nebraska Medical Center dove dirige lo Special Pathogen Research Network, mentre Bhadelia, infettivologa, è professore associato, direttore e fondatore del Centro sulle infezioni emergenti della Boston University.
Nell’articolo ricordano che ad oggi è noto soltanto un caso di contagio mucca-uomo nell’ambito dell’epidemia in corso tra i bovini statunitensi (il lavoratore del Texas che ha riportato una congiuntivite emorragica), però citano le dichiarazioni rilasciate dalla veterinaria Barb Peterson alla pubblicazione specializzata ‘Bovine Veterinarian’: “Ogni azienda con cui ho lavorato, tranne una, ha avuto persone malate nello stesso momento in cui aveva vacche malate. C’è stata una sottostima del virus” fra gli esseri umani.
Altri report dicono la stessa cosa, sottolineano le firmatarie dell’intervento sul Wp, e “questi rapporti sono preoccupanti non perché le infezioni siano gravi – precisano – ma perché qualsiasi incremento dei contagi umani aumenta le possibilità che il virus raggiunga qualcuno che soffre di altre malattie e che, se infettato, potrebbe subire conseguenze peggiori. E storicamente – rammentano – l’H5N1 non è stato lieve negli uomini: su quasi 900 persone che, a quanto sappiamo, sono state infettate finora nel mondo, il virus ne ha uccise circa la metà”.
“La scoperta di materiale virale nel latte venduto nei negozi americani”, che ha spinto il governo federale a mettere in campo azioni più decise contro l’epidemia di aviaria tra i bovini, “di per sé non è allarmante”, rassicurano Nuzzo, Sauer e Bhadelia. “La pastorizzazione – confermano – sebbene non rimuova gli agenti patogeni, neutralizza la loro capacità infettiva”. Tuttavia il virus H5N1 comporta comunque “rischi per i lavoratori del settore lattiero-caseario, che potrebbero essere esposti alle mucche infette e al latte prima che venga pastorizzato”. Ecco perché “è fondamentale proteggere dall’esposizione i lavoratori che potrebbero entrare in contatto con animali infetti”, esortano le tre accademiche.
“Le protezioni per gli occhi e le mascherine raccomandate dai Cdc”, suggeriscono, “dovrebbero essere prontamente disponibili per tutti i lavoratori del settore lattiero-caseario. Tutti gli stati hanno accesso a questi dispositivi, ma serve formazione per assicurarsi che le aziende li forniscano ai propri dipendenti e che il loro utilizzo diventi una routine”. Non solo: “Gli addetti del settore lattiero-caseario hanno bisogno anche di vaccini anti-H5N1”, sostengono le esperte. “Gli sforzi per renderli disponibili devono essere accelerati”, chiedono. “Le autorità sanitarie hanno affermato che il virus circolante negli allevamenti ha un buon ‘match’ con quelli dei vaccini in sviluppo. Ma non sono stati chiari sulle scorte esistenti – osservano le specialiste – né su quando la Fda potrebbe autorizzarne l’uso”.
“Come abbiamo imparato da Covid-19, ritardi nella vaccinazione potrebbero portare a morti evitabili”, rimarcano le docenti che sollevano anche un altro problema: “Poiché molti braccianti agricoli sono immigrati, è necessario lavorare per superare sia la diffusa mancanza di assicurazione sanitaria sia i forti disincentivi finanziari e legali a denunciare le infezioni”.
Per proteggere i lavoratori a rischio e scongiurare una nuova pandemia, proseguono Nuzzo, Sauer e Bhadelia, “serve una maggiore sorveglianza virale nelle aziende agricole e negli impianti di lavorazione dei latticini”. Quanto prescritto dall’Usda, il Dipartimento dell’Agricoltura Usa, che impone di “testare le mucche solo quando stanno per trasferirsi in un altro stato”, per le tre esperte “non proteggerà i lavoratori”. Senza contare che “i test devono essere inviati ai laboratori e questo ritarda i risultati”. Esiti che, se positivi, “segnalerebbero la necessità di proteggere le persone”. Attualmente, fanno notare ancora le specialiste, “i test più diffusi negli allevamenti di bovini da latte restano volontari e limitati agli animali con sintomi, nonostante le evidenze secondo cui le mucche possono avere anche infezioni asintomatiche e altri animali da allevamento sono stati infettati”.
“Test più vasti sulle vacche sono impegnativi, ma essenziali, così come lo sono test più estesi sui lavoratori dell’industria lattiero-casearia”, continuano le firmatarie dell’intervento, specificando le azioni necessarie: “Tutti coloro che operano negli allevamenti di bovini da latte avranno bisogno di un accesso immediato ai farmaci antivirali, nel caso in cui si verifichi un’epidemia. Serve sviluppare velocemente test rapidi in modo che i campioni possano essere analizzati direttamente nelle aziende, anziché inviati ai laboratori. E’ fondamentale sequenziare regolarmente campioni di virus isolati dalle mucche, per intercettare eventuali mutazioni genetiche che potrebbero migliorare la capacità del virus di infettare gli esseri umani o di eludere l’effetto dei farmaci antivirali. Finora l’Usda è stata lenta nel condividere le informazioni genetiche sui campioni virali raccolti da mucche infette e questa situazione deve cambiare immediatamente”.
“Prevenire le infezioni dei lavoratori agricoli e la diffusione incontrollata” dell’influenza aviaria “tra i mammiferi è fondamentale – concludono le tre accademiche – per impedire al virus di diffondersi più facilmente tra gli uomini. Questo richiede un coordinamento attivo tra i funzionari federali, statali e locali dell’agricoltura e della sanità pubblica”.
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