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Cancro ovarico, esperti: “4.800 casi l’anno diagnosticati tardi ma migliora sopravvivenza”

27 Marzo 2024

Roma, 27 mar. (Adnkronos Salute) – In Italia fino all’80% dei casi di tumore ovarico viene diagnosticato tardi. Sono infatti oltre 4.800 le nuove diagnosi l’anno in cui la malattia è già in fase avanzata. E’ necessario quindi aumentare la consapevolezza tra le donne, attraverso opportune campagne informative, su una patologia di cui si parla ancora poco. E’ inoltre importante favorire e velocizzare, per tutte le pazienti, l’accesso ai test per biomarcatori predittivi e alle cure innovative contro la neoplasia ginecologica che presenta il più alto tasso di mortalità. E’ questo il doppio appello lanciato oggi, durante una tavola rotonda a Roma, dell’Ovarian Cancer Commitment (Occ). Si tratta di un’iniziativa europea promossa da AstraZeneca insieme alla Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) e alla Rete europea dei Gruppi di advocacy sul cancro ginecologico (Engage), che si pone l’obiettivo di promuovere la discussione e il confronto al fine di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza delle donne con cancro ovarico.

“La patologia provoca ogni anno più di 3.200 decessi – sottolinea Nicoletta Colombo, direttore di Ginecologia oncologica medica all’Istituto europeo di oncologia di Milano e professore associato di Ostetricia e ginecologia presso l’Università di Milano-Bicocca – Questo è dovuto a una sintomatologia aspecifica e tardiva e alla totale mancanza di programmi di screening. Nonostante le difficoltà nell’ottenere diagnosi precoci, non sono mancati negli ultimi anni importanti innovazioni terapeutiche. In particolare, l’oncologia di precisione sta portando grandi benefici in termini di sopravvivenza”.

“Il carcinoma ovarico si caratterizza per notevoli deficit genetici che alterano i meccanismi di riparazione dei danni del Dna – prosegue Sandro Pignata, direttore Divisione Oncologia medica, Dipartimento di Uro-ginecologia, Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione G. Pascale di Napoli – Esiste da alcuni anni il test Hrd, in grado di rilevare quando non funziona il meccanismo della ricombinazione omologa o Homologus Recombination Deficiency. Si tratta di un ‘sistema di correzione’ che, se smette di operare, induce il Dna a generare nuovi errori. Sono questi, infatti, le principali caratteristiche biologiche del tumore ovarico. L’esecuzione del test Hrd permette quindi di adattare le cure a ogni singola paziente e consente ai clinici di proporre strategie di sorveglianza o di riduzione del rischio. Rappresenta un’evoluzione del test Brca ed è rilevante nella scelta della terapia con i Parp-inibitori, la nuova classe di farmaci in grado di contrastare le neoplasie che presentano un difetto nel processo di ricombinazione omologa”.

L’esecuzione del test Hrd richiede piattaforme tecnologiche e software attualmente presenti solo in pochi centri altamente specializzati, è emerso dall’incontro. Inoltre, al momento, il processo di tariffazione e rimborsabilità del test non è sempre chiaro ed omogeno per tutte le Regioni. E’ auspicabile una centralizzazione della governance dei laboratori che svolgono queste analisi molto complesse, basate su tecnologia Ngs. Solo così – è stato ribadito – è possibile garantire la massima qualità di erogazione degli esami e il contenimento dei costi di esecuzione.

“Tutte le pazienti con carcinoma ovarico hanno il diritto di essere assistite in centri oncologici specializzati nel trattare una malattia molto complessa – aggiunge Anna Fagotti, professore ordinario di Ostetricia e ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore Unità operativa complessa presso la Fondazione Policlinico universitario A. Gemelli Irccs e presidente di Esgo – In tempi brevi è necessario adottare i criteri e gli standard di selezione dei centri di riferimento all’interno delle reti oncologiche regionali. Su tutto il territorio nazionale servono linee guida omogenee e che rispettino alcuni criteri e standard essenziali, in tutto 10, che sono stati stabiliti di recente dall’European Society of Gynaecological Oncology e prevedono, tra gli altri, la presenza di un chirurgo specializzato, un volume di soglia di almeno 30-20 interventi annui, la presenza di team multidisciplinari e l’accesso ai trial clinici”.

La malattia presenta ancora dei “bisogni insoddisfatti per la maggioranza dei pazienti – commenta Nicoletta Cerana, presidente Acto Italia – Alleanza contro il tumore ovarico Ets – L’innovazione terapeutica sta migliorando le prospettive delle donne interessate dal tumore ovarico, ma bisogna prestare maggiore attenzione a livello di assistenza socio-sanitaria e alla qualità di vita durante e dopo le terapie”.

Il tumore ovarico “provoca ancora troppe vittime in Italia così come in molti altri Paesi occidentali – ricorda Annarita Patriarca, componente della Commissione Affari sociali della Camera dei deputati – Tuttavia, è una patologia oncologica ancora poco conosciuta ed è necessario informare maggiormente l’opinione pubblica. Sul versante istituzionale, è necessario un impegno comune del Governo e del Parlamento per garantire l’accesso a tutte le donne ai trattamenti più innovativi ed efficaci. Una priorità non rinviabile, che deve essere inserita nell’agenda politica”.

Sempre oggi a Roma è stata presentata la nuova campagna di comunicazione ‘Hai due minuti?’, che ha l’obiettivo di sensibilizzare sul tema della prevenzione. “La nostra azienda è orgogliosa di supportate un progetto di valore come questo che si propone di informare la popolazione femminile su una neoplasia che presenta ancora una diagnosi complessa – conclude Alessandra Dorigo, Head of Oncology di AstraZeneca Italia – Al tempo stesso, con Ovarian Cancer Commitment abbiamo avviato una collaborazione con i vari attori del sistema salute con l’obiettivo di migliorare la diagnosi e il trattamento del tumore ovarico. I progressi della ricerca scientifica e della pratica clinica negli ultimi anni hanno prodotto grandi risultati. L’impegno comune deve essere quello di rendere più accessibili queste innovazioni affinché non rimangano ad appannaggio di poche pazienti”.

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