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Covid: effetti su operatori sanitari, più ansia e depressione nelle donne

22 Giugno 2022

Roma, 22 giu. (Adnkronos Salute) – Gli effetti traumatici che Covid-19 ha avuto sulla salute mentale e sull’attività di cura del personale medico-sanitario si sono manifestati già dai primi mesi pandemici, ma continueranno anche a medio-lungo termine nei prossimi anni. E ora sappiamo che le operatrici sanitarie soffrono maggiormente di ansia, depressione e disturbi del sonno rispetto ai colleghi uomini. Il dato emerge da uno studio preliminare di Fondazione Soleterre e università di Pavia, in collaborazione con Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia.

La Fondazione, fin dalla prima fase di emergenza, ha creato un modello per valutare e dare supporto psicologico agli operatori sanitari. Ora, dopo più di 24 mesi, ha realizzato un trial su un campione di 225 persone, parte del personale medico-sanitario del Policlinico San Matteo. L’obiettivo dello studio è stato la valutazione dello stato di salute degli operatori, della loro capacità di continuare a prendersi cura dei pazienti e dell’efficacia del supporto psicologico in presenza o da remoto.

I sintomi trasversali rilevati sono stati diversi, dall’ansia, alla depressione, dai problemi di sonno alla somatizzazione, fino all’abuso farmacologico. Grazie allo studio si è rilevato l’impatto dello stress da trauma e come questo incida sul burnout, generando nel personale medico-sanitario poca motivazione nel lavoro e disinteressamento nei confronti dei pazienti, fino al malessere psicologico legato al costante contatto con la morte. Quasi un terzo dei sanitari che hanno in cura pazienti Covid-19 continua a non star bene a causa degli elevati elementi che generano stress da fronteggiare. Lo studio ha però identificato i gruppi più a rischio: le donne e gli operatori che lavorano in rianimazione che sono più a rischio rispetto, per esempio, a chi lavora in pronto soccorso. Per quanto riguarda invece la modalità di intervento psicologico, è emersa dallo studio l’efficacia di un’azione non solo di ascolto e di sostegno espressivo dei sanitari, che prevede anche la partecipazione attiva e la creazione di un ambiente terapeutico, sviluppata con un format di 5 colloqui di 50 minuti. Per il 30% di sanitari che tuttora non stanno bene, presentando cioè sintomi da moderati a gravi, è stato fruttuoso l’intervento in presenza, aiutando in modo significativo ad attenuare l’ansia.

“Quando è iniziata questa esperienza ci siamo ritrovati all’ospedale San Matteo di Pavia ad affrontare da soli una malattia a cui nessuno sapeva come approcciarsi. Medici che di solito devono sapere il da farsi si sono trovati senza strumenti, cercando di trovare nuove conoscenze per risolvere la situazione”, afferma Damiano Rizzi, presidente di Fondazione Soleterre.

L’intervento della Fondazione, continua, “ha in un primo momento permesso di creare un modello per dare valore e supporto psicologico agli operatori sanitari. Nei prossimi mesi l’analisi continuerà conducendo a maggiori dati per la traumaticità e per il burnout, ma ci si aspetta che la tendenza sarà confermata”.

“Quella messa in campo a Pavia da Fondazione Soleterre e dal San Matteo di Pavia – afferma Alessandro Venturi, presidente dell’Irccs – è un’esperienza unica poiché realizzata nella prima linea, in presenza, al fianco degli operatori sanitari nell’ospedale che ha curato il ‘paziente 1′” in Italia. “Solo nel primo anno – riferisce – sono state realizzate, oltre alle attività di ricerca, 3.172 ore di lavoro complessive di supporto psicologico agli operatori sanitari all’interno dei reparti di cura Covid-19. Un lavoro originale e autentico che stiamo ancora svolgendo con i pazienti Long Covid e Covid”.

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