Covid: ‘Lombardia travolta’, su Lancet critica ‘errori risposta italiana’
Milano, 21 gen. (Adnkronos Salute)() – “La decisione del Governo nazionale e regionale della Lombardia di non creare una cosiddetta zona rossa intorno ad Alzano Lombardo e Nembro (bloccando l’ingresso e l’uscita dai due comuni), quando a fine febbraio 2020 è stato scoperto Covid-19 nella popolazione, è ritenuta direttamente responsabile della diffusione dell’infezione ad altri comuni della provincia di Bergamo, in particolare nella Val Seriana, poi in tutta Europa”. E’ uno dei passaggi di un’analisi molto dura pubblicata sulla rivista scientifica ‘The Lancet’. Titolo: Riconoscere gli errori dell’Italia nella risposta a Covid-19.
La domanda che viene posta è: “In che modo una diversa risposta di salute pubblica avrebbe potuto fermare l’epidemia di Covid-19 nella provincia di Bergamo, diventata famosa nella primavera del 2020 per i cadaveri accatastati in ospedali, chiese e cimiteri e trasportati con camion militari ai crematori?”. Nell’articolo, pubblicato nella sezione ‘Correspondence’, si torna a quel febbraio del 2020, quando tutto è cominciato: “La popolazione lombarda è rimasta scioccata dagli eventi e dall’incoerenza di sanità pubblica e autorità governative, accanto a un piano pandemico obsoleto e non attuato”, si legge nel testo firmato da Chiara Alfieri, Laboratoire Population, Environnement, Démographie dell’Institut de Recherche pour le Développement, Università di Aix-Marseille, Marsiglia, Francia, insieme ai colleghi Marc Egrot, Alice Desclaux e Kelley Sams, anche di altri atenei francesi, per conto del programma Comescov (Confinement et mesures sanitaires visant à limiter la transmission du Covid-19).
Dalla zona rossa al piano pandemico, vengono elencati tutti i nodi critici della prima drammatica ondata pandemica. “L’Istituto nazionale di statistica” Istat “ha definito gli eventi una terza guerra mondiale”, ripercorrono gli autori che ricordano anche l’azione dell’Associazione ‘Sereni e sempre uniti’ che il 2 novembre 2021 ha manifestato a Roma contro quella che nel testo viene definita “omertà istituzionale (cioè la legge del silenzio)” e per la “restaurazione di una Commissione parlamentare” con il compito di “esaminare la gestione dell’epidemia. Questo evento ha fatto seguito a 520 denunce che erano state presentate dall’associazione 4 mesi prima contro il Governo nazionale, il ministero della Salute e gli amministratori della regione Lombardia”.
Per comprendere, prosegue l’analisi pubblicata su Lancet, “è necessario esaminare l’inizio della pandemia in Lombardia. I cittadini lombardi “si sono confrontati con l’orrore: i loro cari che morivano in casa senza cure e soli in ospedale, la scarsità di ossigeno e respiratori, la confusione nell’identificazione dei corpi cremati”, elencano gli autori.
“Per reazione – continuano – la società civile bergamasca si è organizzata in un movimento che chiede giustizia. Gli obiettivi dell’Associazione Sereni sono ottenere verità, giustizia, riparazione e dignità e offrire supporto emotivo in risposta al dolore, alla confusione e al risentimento per le famiglie dei defunti e per la comunità più ampia. Molti politici e attivisti cittadini hanno gravitato intorno al movimento”.
Gli autori dell’articolo fanno notare come “il contributo degli antropologi alla documentazione e all’analisi degli effetti sociali e politici degli eventi epidemiologici è stato fondamentale per altre malattie infettive (come malattia da virus Ebola e Aids), ad esempio in Africa, dove reti come il Réseau Anthropologie des Épidémies Émergentes (di cui siamo membri)”, scrivono i ricercatori che firmano l’analisi, “sono diventate centrali per affrontare questioni come l’esitazione sui vaccini, la disinformazione, e la fiducia. La ricerca transdisciplinare produce evidenze sulle azioni delle associazioni della società civile, come l’Associazione Sereni. Questa evidenza è fondamentale per le istituzioni per identificare e affrontare gli errori nella risposta della salute pubblica – concludono gli esperti – che è necessaria per supportare le comunità a prepararsi per future minacce infettive, come raccomandato dalla Community Preparedness Unit dell’Oms.
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