Covid: verità e bugie su Omicron, l’immunologo ‘ecco cosa sappiamo’
Roma, 28 dic. (Adnkronos Salute)() – Cosa sappiamo oggi sulla variante Omicron di Sars-CoV-2, arrivata in Italia dal Sud Africa un mese fa? E’ solo più infettiva della Delta? I vaccini ci proteggono? Dobbiamo aver paura o possiamo affrontarla con più serenità con tre dosi di vaccino? Ad alcune di queste domande risponde l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la medicina personalizzata.
Perché le notizie riportate riguardo Omicron sono così contrastanti? “Da una parte – analizza l’esperto per l’Adnkronos Salute – pur a fronte di 54.762 contagi nel giorno di Natale e di un tasso di positività schizzato all’11,5%, c’è chi continua a proclamarli falsi allarmi o, semmai, allarmi che verrebbero amplificati dai media, quegli stessi che vengono poi puntualmente utilizzati per esternare i medesimi proclami. Dall’altra c’è chi proprio non ce la fa a non raccontare la storia dei sieri sperimentali, dei vaccini che non funzionano, degli effetti avversi sapientemente nascosti e dei morti no vax che dovevano morire a migliaia e invece si contano con le mani tranquillamente. In mezzo c’è come sempre il faticoso percorso della scienza che non manca di riproporsi con le sue pubblicazioni puntuali, precise, definite in dettagli capaci di spiegare, a chi solo avesse il tempo e la voglia di leggerle, le reali evoluzioni del complesso fenomeno Covid”.
Prima domanda: i vaccini servono a proteggerci dalle nuove varianti del virus? “Partiamo da un assunto che, fin dai tempi della prima ondata dei vaccini (mRna vs vettore virale), gli immunologi hanno provato a comunicare. I vaccini – ricorda Minelli – ‘allenano’ il sistema immunitario soprattutto nella sua componente definita ‘innata’, ciò che potrebbe per esempio facilmente spiegare come mai i bambini abitualmente sottoposti, in ragione della loro età, a vaccinazioni multiple, in linea di massima siano fino ad ora risultati meno colpiti dalla malattia Covid-19. Parlo di malattia, non di infezione. Il dettaglio è tutt’altro che marginale. Molti dati, generati dalle conoscenze delle altre varianti e dei meccanismi di difesa dalla malattia, suggeriscono che Omicron, pur potendo eludere le difese contro l’infezione, non riesce ad eludere quelle contro la malattia. L’elemento di discrimine è rappresentato proprio dagli effetti del vaccino anti-Covid. E, d’altro canto, anche il vaccino contro il morbillo promuove un efficace allenamento del sistema immunitario; la stessa cosa vale per quello antitubercolare proposto addirittura come strumento per innalzare la resistenza contro il Sars-CoV-2, e perfino al vaccino antinfluenzale viene attribuito analogo potere”.
Secondo quesito: è vero che Omicron sfugge al riconoscimento degli anticorpi anti-Spike? “Dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid – evidenzia l’immunologo – ad entrare in gioco non sono solo i classici anticorpi facilmente dosabili con i famosi test sierologici. I giocatori più importanti in questa partita sono i linfociti T, un tipo di globuli bianchi essenziali nelle funzioni del sistema immunitario, specializzati nel riconoscimento delle cellule infettate dal virus ed in grado di elaborare molecole neutralizzanti il virus, come ad esempio gli interferoni, una volta che la particella infettante sia eventualmente entrata all’interno delle cellule”.
“I linfociti T – precisa Minelli – intervengono come seconda linea di difesa cellulare, rispetto alla prima rappresentata dagli anticorpi che, dal canto loro, rappresentano solo un’espressione, certamente non esaustiva, della risposta immunitaria. Purtroppo non è facile misurare la risposta mediata dai linfociti T per indisponibilità di test facili e soprattutto economici da applicare su ampia scala, per quanto la loro auspicabile esecuzione consentirebbe di accertare dinamiche d’azione del nostro organismo sul virus che la sola ricerca di anticorpi evidentemente non è in grado di fornire”.
“Aspetto importante da sottolineare – aggiunge l’esperto – è che l’immunità cellulare indotta dai linfociti T e potenziata dalla produzione interferonica non viene in alcun modo compromessa dalle cangianti mutazioni, tra le quali Omicron ultima in ordine di tempo, con le quali il coronavirus continua a cimentarsi. E questo è indiscutibilmente un elemento fondato, di grandissima pregnanza clinica e di fortissima rilevanza sociale. Spieghiamolo alle persone, in maniera chiara, comprensibile, lineare, univoca, senza litigare anche su questo”.
Ma, terza domanda, i vaccini sono efficaci contro la variante Omicron? “Un importante elemento da considerare, già peraltro affrontato con la prima comparsa di Omicron agli inizi di dicembre – rammenta Minelli – è rappresentato dal variegato intervento degli anticorpi anti-Covid. In questo senso può essere utile richiamare brevemente le dinamiche dell’infezione da Sars-CoV-2 che utilizza la proteina Spike per accedere nelle cellule dell’organismo umano. Tale proteina è formata da due subunità: la S1 che consente al virus di internalizzarsi nelle cellule grazie al recettore Ace-2; la S2 che invece serve al coronavirus per scaricare nella cellula infettata il proprio materiale genetico così dando inizio al processo di replicazione”. Il sequenziamento genetico della proteina Spike di Omicron “ci ha rivelato che le mutazioni che hanno generato quest’ultima variante sono pressoché completamente localizzate sulla subunità S1, quella che funge da porta d’ingresso del virus nelle cellule umane. E’ per questo che la Omicron viene considerata più trasmissibile rispetto ai suoi predecessori, in quanto non catturabile dagli anticorpi indotti da precedente infezione ovvero da vaccinazione evidentemente orientata verso la subunità S1 di varianti precedenti”.
“Ma l’immunoprotezione indotta dal vaccino non funziona solo sulla subunità S1 – puntualizza l’immunologo – Un secondo contingente di anticorpi risulta infatti orientato contro la subunità S2 della proteina Spike, sulla quale Omicron non ha inserito mutazioni. Si può allora credibilmente ritenere che, su questa componente rimasta immodificata rispetto alla formulazione originaria del Sars-CoV-2, le dinamiche immunologiche attivate dal vaccino siano in grado di esercitare una valida azione protettiva, che sembra essere soprattutto efficace nelle forme più gravi di Covid-19”.
Quarta domanda: la variante Omicron causa sintomi più gravi rispetto alle altre mutazioni? “Se, come risulta dall’evoluzione delle conoscenze, la produzione anticorpale contro la subunità S2 e l’immunoprotezione indotta dai linfociti T, ulteriormente incrementata dall’azione antivirale degli interferoni, non vengono inficiate dalle trasformazioni che hanno generato Omicron – ragiona Minelli – si potrà credibilmente ritenere che, nei soggetti opportunamente protetti da un corretto percorso vaccinale, la nuova variante sudafricana potrà essere rispetto alla Delta magari più diffusibile, ma incapace di determinare la comparsa di quadri clinici severi o più severi rispetto al passato. A questo si aggiunga che Omicron, dimostrando scarsa attitudine a replicarsi nel tessuto polmonare profondo e dunque prediligendo le alte vie respiratore, avrebbe capacità ridotte, rispetto ai suoi predecessori, di causare polmoniti”.
Quindi, quesito finale, dobbiamo aver paura o no della variante Omicron? “Per effetto della variante Omicron – afferma l’immunologo – si potrebbe avere, magari, un discreto peggioramento del quadro epidemiologico, ma non di quello clinico in ragione di una valida protezione che i vaccinati, tanto più con terze dosi, hanno di fatto acquisito. Per questo, fatte salve le oltre 6 milioni di persone che nel nostro Paese ancora non si sono vaccinate, ad Omicron, pur con le dovute precauzioni, non dovremmo guardare con gli stessi livelli di preoccupazioni dai quali saremmo stati pervasi anche solo un anno fa. E questo non perché il virus sia diventato più debole, ma perché la stragrande maggioranza di noi è diventata più forte, attrezzata e consapevole. Ancor di più lo sarebbe – conclude Minelli – se, derogando ai tempi strettissimi della comunicazione ultra-veloce e superficiale, potesse soffermarsi sulle dinamiche tutt’altro che scontate di fenomeni complessi, per impegnarsi a comprenderle e contestualmente a capire che, di fronte alla scienza, occorre sempre muoversi con rispetto, prudenza e cognizione”.
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