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Da cirrosi a encefalopatia di Wernicke, i gravi rischi dell’abuso di alcol

3 Dicembre 2024

Milano, 3 dic. (Adnkronos Salute) – Sono 2,6 milioni i morti per alcol nel mondo in un solo anno a seguito di gravi patologie che colpiscono principalmente il fegato. Un dato che spesso resta sottotraccia, come qualcosa che si ritiene lontano, prerogativa di contesti estremamente difficili. In realtà i numeri pesano più di quanto si pensi a livello globale. Ma secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) l’alcol uccide più delle sostanze psicoattive. Solo nel 2019 infatti i decessi per droghe sono stati quasi 600mila.

Funziona così: “Più alcol si beve e più è dannoso”, spiega all’Adnkronos Salute Giorgio Sesti, professore di medicina interna alla Sapienza Università di Roma e past president della Società italiana di medicina interna (Simi), illustrando cosa succede al nostro organismo quando eccediamo con l’alcol, quali possono essere i danni. Le conseguenze vanno dal coma etilico a condizioni molto gravi e meno note, come l’encefalopatia di Wernicke o la sindrome di Korsakoff.

Un tema, quello dei rischi che si corrono con l’abuso di alcol, ancora più attuale alla luce di quanto emerso dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, che ha fotografato la diffusione fra i ragazzi anche dipratiche pericolose come il ‘binge drinking’ e l’impatto significativo di intossicazioni alcoliche. “L’etilismo è dose-dipendente e dà dei danni gravi e permanenti” determinati per effetto dell’accumulo, sottolinea Sesti. “I due organi bersaglio principali sono il fegato, che può andare in una forma grave di insufficienza epatica irreversibile, tanto è vero che poi in molti casi di cirrosi l’unica possibilità terapeutica è il trapianto, e il sistema nervoso. Va infatti evidenziato che l’alcol a livello cerebrale è particolarmente dannoso e si può arrivare fino ad avere una gravissima encefalopatia alcolica irreversibile con danni permanenti”.

In mezzo, però, fa notare l’esperto, “c’è tutta una fase di allarme in cui si può intervenire. Esistono dei centri adeguati, che aiutano anche farmacologicamente, ma molto si lavora ovviamente dal punto di vista psicologico. Perché il più delle volte l’alcolismo può essere espressione di un disagio sociale, o di un disagio familiare. E ci sono una serie di azioni preventive che si possono mettere in atto per curarlo”.

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