Da studio italiano Sos infezioni fungine, ‘in rianimazioni più frequenti di quanto si pensi’
Milano, 2 set. (Adnkronos Salute) – Un maxi studio italiano, che ha passato in rassegna i dati di oltre 185mila ricoverati in terapie intensive d’Italia nell’arco di un decennio, accende i riflettori su un’emergenza silenziosa, difficile da portare alla luce: quella delle infezioni fungine invasive. Infezioni “molto più frequenti di quanto si pensasse” tra i pazienti di questi reparti, avvertono gli autori del lavoro pubblicato su ‘Mycoses’, che offre una fotografia del reale impatto di candidosi, aspergillosi e pneumocistosi. In accordo con i dati a livello europeo, anche in Italia queste sono le infezioni più diffuse fra i ricoverati in terapia intensiva. L’identikit dei soggetti più colpiti? Per il 63% sono maschi, età media 68 anni.
A firmare il lavoro, realizzato con il contributo di Gilead Sciences, è un team di ricercatori, tra cui esperti di due ospedali del Paese, Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e azienda ospedale-università di Padova. Le infezioni fungine invasive (Ifi) sono infezioni serie che possono colpire persone gravemente malate assistite in unità di terapia intensiva (Icu), pazienti sottoposti a procedure mediche invasive e che ricevono antibiotici ad ampio spettro e quelli che assumono farmaci immunosoppressori, elencano gli esperti. Perché sono da considerare un’emergenza? “Perché non sono solo un problema dei pazienti gravemente immunodepressi come classicamente erano considerate”, evidenzia all’Adnkronos Salute Pier Luigi Viale, Università di Bologna Sant’Orsola-Malpighi, primo autore dello studio osservazionale retrospettivo, condotto su dati amministrativi relativi al periodo 2012-2023. E ancora, “perché sono difficili da diagnosticare sia dal punto di vista clinico che microbiologico. Perché l’armamentario terapeutico è piuttosto ridotto. Perché stanno emergendo importanti problematiche di resistenza ai farmaci più comunemente usati. Perché la cultura medica su tale tematica è ancora piuttosto scarsa”.
Insomma, questa tipologia di infezioni, secondo gli esperti, rappresentano “un’attuale sfida clinica, che ha acquisito ancora più interesse alla luce dei rilevanti cambiamenti epidemiologici nell’era post-Covid-19”. Per esempio l’aspergillosi polmonare associata a Covid (Capa) e l’aspergillosi polmonare associata all’influenza (Iapa) destano crescente preoccupazione. Altro elemento che si è notato – si legge ancora nell’articolo – è che nell’ultimo decennio, il tasso di candidemia è aumentato in alcuni contesti fino al 50% con un’incidenza di 5,1 su 1000 ricoveri in terapia intensiva. Lo studio ‘Charter-Ifi’ ha esaminato retrospettivamente 186.310 ricoverati in terapia intensiva in Italia dall’1 gennaio 2012 all’1 settembre 2023, utilizzando database amministrativi che coprono circa 10 milioni di abitanti. Risultato: sono stati inclusi 746 pazienti con Ifi dimessi dalla terapia intensiva (incidenza pari a 4 ogni 1000 pazienti ricoverati in terapia intensiva).
Le tre diagnosi principali erano candidosi (501 pazienti, 2,7/1000 pazienti ricoverati in terapia intensiva), aspergillosi (71, 0,4/1000) e pneumocistosi (55, 0,3/1000). Le condizioni che mettono più a rischio? La valutazione del profilo di comorbilità nei pazienti con infezioni fungine invasive ha rivelato la presenza di ipertensione (60,5%), trattamento con antibiotici sistemici (45,3% nei 12 mesi prima e 18,6% nei 3 mesi prima dell’ospedalizzazione), cancro (23,1%), diabete (24,3%) e malattie cardiovascolari (23,9%). Si sono verificati decessi nel 36,1% dei pazienti con Ifi (entro 30 giorni dalla dimissione). Gli autori evidenziano come “questa analisi retrospettiva tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva” descriva “il peso delle Ifi in terapia intensiva”. Comprenderlo, fanno notare, “potrebbe essere fondamentale per rafforzare la sorveglianza, gli investimenti nella ricerca e gli interventi di sanità pubblica come richiesto dall’Oms”.
L’infezione fungina, avvertono gli autori, allunga il tempo di ospedalizzazione e concorre al rischio di morte. Tra i dati raccolti, quelli relativi al periodo Covid testimoniano che durante la pandemia (2020-2022) circa un terzo dei pazienti con Covid in terapia intensiva ha sviluppato una sovrainfezione da Aspergillus (Capa), allungando i tempi di guarigione e aumentando il rischio di morte. Questo studio, evidenzia Viale, “ha il suo punto di forza nelle dimensioni del campione. Come tutti gli studi su database amministrativi arriva a valutare un denominatore di enormi dimensioni, nel caso specifico oltre 185.000 ricoveri in terapia intensiva, riferiti a un campione di popolazione di 10milioni di residenti. Con tutti i limiti degli studi retrospettivi che analizzano database amministrativi, che di solito sottostimano le dimensioni delle variabili ricercate, nel caso specifico emergono invece valori di prevalenza molti significativi, dimostrando che il problema delle infezioni fungine invasive in terapia intensiva è tutt’altro che un argomento di nicchia”.
Un problema forse sottovalutato e poco monitorato. Anche l’Oms ha avuto modo di evidenziare la carenza sia di ricerca sia dello sviluppo di soluzioni terapeutiche adeguate per le forme più critiche, come Cryptococcus neoformans, Aspergillus fumigatus, Candida albicans e Candida auris, su cui viene ritenuta indispensabile maggiore sorveglianza e intervento. “I dati dello studio potrebbero avere un forte impatto sul sistema sanità”, conclude Viale, perché fanno emergere “come il problema infezioni fungine invasive non sia limitato alle grandi organizzazioni sanitarie. La cultura specifica deve essere parcellizzata a tutti i livelli ed è necessario investire in cultura ed in strumenti diagnostici. In altri termini ogni ospedale deve avere la possibilità di fare diagnosi, o direttamente o riferendosi a centri di riferimento, in un contesto organizzativo che dia a tutti la possibilità di accedere agli strumenti diagnostici, alla consulenza infettivologica ed alle risorse terapeutiche migliori”.
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