Diabete, quando le parole ‘sbagliate’ provocano ansia e rabbia
Roma, 25 ott. (Adnkronos Salute) – La comunicazione è un pilastro fondamentale nella gestione di condizioni come il diabete. Si tratta infatti di una condizione cronica che determina un profondo impatto nella vita delle persone. Un linguaggio chiaro, semplice e rispettoso, sia verbale che non verbale, può trasformare la relazione medico-paziente favorendo l’educazione, la collaborazione e l’aderenza alla terapia. Al contrario, una comunicazione carente può creare barriere, generare incomprensioni e compromettere l’efficacia degli interventi terapeutici. E’ uno dei temi affrontati a Rimini al 30esimo Congresso nazionale della Società italiana di diabetologia (Sid).
“Da tempo la Sid ha adottato un linguaggio centrato sulla persona (noto anche come ‘person-first’) per evitare di etichettare una persona come la sua condizione – spiega Angelo Avogaro, presidente della società scientifica – E’ fondamentale coltivare una comunicazione che non attribuisca responsabilità̀ (o colpa) verso la persona per lo sviluppo del suo diabete o del suo diabete conseguenze. Ecco perché questo argomento è stato portato al congresso nazionale”.
“Pensiamo all’espressione ‘fallimento terapeutico’, che può generare nel paziente la sensazione di non essere riconosciuto negli sforzi effettuati per gestire la malattia fino alla rottura dell’alleanza terapeutica – sottolinea Liliana Indelicato, psicologa e coordinatrice Gruppo di lavoro Psicologia e diabete della Sid – Nel position statement pubblicato nel 2022 viene sottolineato come aggettivi del tipo ‘cattivo controllo glicemico’ attribuiscano una responsabilità diretta al paziente, mentre sappiamo che i valori HbA1c (emoglobina glicata) cambiano in risposta a molteplici fattori: ormonali, farmacologici, emotivi, legati all’alimentazione o all’attività fisica. Inoltre, il diabete ha un andamento progressivo che può necessitare nel tempo di cambiamenti di terapia”.
Molti studi – ricorda una nota dal congresso – hanno sottolineato come il linguaggio contribuisca a formare attitudini e atteggiamenti, ma anche stereotipi e stigma. Negli ambienti sanitari il personale deve aiutare la persona con diabete a sentirsi compresa e supportata. Un linguaggio ‘scorretto’ può influire sulla motivazione del paziente a curarsi adeguatamente o seguire un corretto stile di vita e somministrare l’insulina. Termini come cattivo, fallimento terapeutico, scarso controllo possono rafforzare il senso di incapacità e fallimento incidendo negativamente sulla self-efficacy che ha una relazione stretta sugli outcome di salute. Al contrario espressioni positive e inclusive, incentrate sulla persona sono in grado di incrementare la motivazione e l’engagement.
Nel position statement italiano realizzato dal Gruppo di lavoro Psicologia e diabete Sid con il Gruppo di lavoro Psicologia e diabete di Amd (Associazione medici diabetologi) – si legge in una nota – sono state selezionate 20 espressioni identificate tramite articoli scientifici, esperienze dirette, focus group con persone con diabete: ‘dovrebbe/non dovrebbe’ portano ad una perdita di autonomia della persona, mentre riconoscere i punti di forza rimanda alla persona una immagine positiva di sé, diminuendo quello che viene chiamato ‘distress psicologico’. Si tratta di un disagio emotivo caratterizzato da ansia e preoccupazioni che porta a rabbia, frustrazione e burnout con conseguenze sui livelli di HbA1c.
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