Hiv, in Italia il futuro è adesso ma serve il coraggio di cambiare passo

(Adnkronos Salute) – Nonostante i progressi scientifici, l’Italia è ancora in ritardo nell’accogliere l’innovazione nella prevenzione e nella cura dell’Hiv. A lanciare l’allarme è Simone Marcotullio, responsabile Policy e Comunicazione di ViiV Healthcare, che, in un’intervista al portale Gay.it, commenta alcuni degli spunti emersi nel corso 17ª edizione dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (Icar) che si è recentemente tenuta a Padova.
“La scienza ci offre strumenti rivoluzionari ma il sistema Italia fatica ad accoglierli” afferma Marcotullio. Il riferimento è in particolare alle terapie a lento rilascio (long-acting), che rappresentano una vera svolta sia nella prevenzione che nel trattamento dell’HIV, soprattutto per le persone più vulnerabili. Secondo Marcotullio, l’adozione di questi nuovi trattamenti è cruciale per raggiungere l’obiettivo “zero infezioni”: “Risparmiare ogni singola infezione è cruciale. L’innovazione permette di raggiungere anche quei pochi che non riusciamo a intercettare con le strategie tradizionali”, aggiunge.
Eppure, a tre anni dall’introduzione di queste terapie, solo il 5% della popolazione interessata ne usufruisce, nonostante il vantaggio clinico e anche economico rispetto ad alcune terapie orali. Un paradosso che mette in luce la difficoltà del sistema sanitario nel cambiare rotta.
Il problema, spiega Marcotullio, è duplice: da una parte la mancanza di una volontà politica concreta, dall’altra un’organizzazione ospedaliera che non facilita l’adozione di trattamenti innovativi. “Abbiamo un sistema ospedaliero che, nell’insieme, non è accogliente verso l’innovazione, restio al cambiamento e poco attrezzato per nuove modalità di somministrazione”, osserva.
Nonostante l’efficacia dei farmaci long-acting nel garantire aderenza e migliorare la qualità della vita, i pazienti continuano ad assumere terapie orali quotidiane, spesso con un impatto sociale e psicologico rilevante.
Marcotullio sottolinea anche l’importanza di estendere l’utilizzo della PrEP (profilassi pre-esposizione), soprattutto tra le popolazioni chiave come le persone cisgender o i giovani in situazioni di marginalità. “L’innovazione nella prevenzione deve poter arrivare anche a chi non risponde bene ai metodi tradizionali. È una conquista clinica ed etica. La PrEP long-acting rappresenta un’opportunità per raggiungere queste persone, superando le barriere legate a stigma, difficoltà di accesso o semplice dimenticanza del farmaco”.
L’obiettivo, secondo Marcotullio, deve essere chiaro e condiviso: ridurre il più possibile la presenza del virus nella popolazione. “La cosa più semplice che possiamo auspicare è che alla fine si abbia meno virus in circolazione. Oggi gli strumenti ci sono. Serve solo la volontà di usarli”, conclude.
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