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Istat, ingresso in vecchiaia dopo i 74 anni, più in salute e istruiti

21 Maggio 2025

Roma, 21 mag. (Adnkronos Salute) – “Lo spostamento in avanti delle principali tappe che contraddistinguono i percorsi di vita riguarda anche l’età in cui si diventa anziani. In demografia la soglia dei 65 anni, un’età storicamente legata all’uscita dal mercato del lavoro, definisce convenzionalmente l’ingresso nella vecchiaia. Tuttavia, con l’aumento della longevità e il miglioramento delle condizioni di vita, oggi a 65 anni molte persone vivono in buona salute, lavorano, mantengono una vita attiva e partecipano pienamente alla società. Per cogliere meglio l’entità della popolazione anziana, si propone un approccio dinamico per la determinazione della soglia della vecchiaia, ben noto in demografia, che considera non l’età anagrafica fissa, ma la speranza di vita residua”. Così l’Istat nel Rapporto annuale 2025-La situazione del Paese, pubblicato oggi.

“Nel 1952 – spiega il report – un uomo a 65 anni poteva aspettarsi di vivere ancora 13 anni, una donna 14. Applicando oggi lo stesso criterio basato sulla speranza di vita residua, la soglia di ingresso nella vecchiaia si sposterebbe a 74 anni per gli uomini e 75 per le donne, cambiando sensibilmente la percezione dell’invecchiamento: nel 2023 il 21,6 % degli uomini e il 26,3% delle donne risultano anziani secondo la definizione tradizionale, ma sarebbero solo l’11,4 e il 14,2% usando la soglia dinamica”. L’obiettivo di questo approccio non è negare le criticità dell’invecchiamento, precisa l’Istat, “ma rileggere il fenomeno alla luce del miglioramento delle condizioni di salute. Resta comunque importante ricordare che l’aumento degli anni di vita in buona salute non tiene sempre il passo con la longevità complessiva”.

“Tra i fattori che caratterizzano le nuove generazioni di anziani – si sottolinea nel rapporto – spicca il livello di istruzione. Dal 1951 a oggi, il profilo per livello di istruzione della popolazione anziana si è profondamente trasformato. Se nel 1951 oltre l’80% degli ultrasessantacinquenni non aveva alcun titolo di studio, nel 2021 questa quota è scesa al 5,9%. Oggi la maggioranza degli anziani (62%) ha almeno la licenza media, rispetto al 15,7% del 1951. I titoli di studio più elevati, seppure ancora minoritari, sono cresciuti con continuità: dall’1,1% nel 1951 all’8,8% settant’anni dopo. Tali cambiamenti – concludono gli esperti – segnalano un progressivo rafforzamento del capitale umano nella fascia anziana della popolazione, con ricadute potenziali positive su silver economy, partecipazione sociale, culturale ed economica”.

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