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La psicologa, ‘saldi fattore rischio per 5% italiani malati di shopping compulsivo’

4 Gennaio 2024

Roma, 4 gen. (Adnkronos Salute) – Tempo di saldi e di acquisti, quello che si apre fra qualche ora in tutta Italia: un periodo atteso da molti per comprare qualcosa, capi di abbigliamento in primis, che in altri momenti dell’anno inciderebbe troppo sul proprio budget. Ma se per la maggior parte degli italiani gli sconti rappresentano un’occasione per regalarsi qualcosa che serve o che si desidera attraverso un acquisto meditato e consapevole, per altri, circa il 5% della popolazione, ‘malati’ di shopping compulsivo, costituiscono “un fattore di rischio in più, un pretesto per reiterare un comportamento patologico che per loro non ha stagione”. A descrivere all’Adnkronos Salute un aspetto ‘negativo’ dei saldi è Paola Mosini, psicoterapeuta di Humanitas Psico Medical Care.

“Lo shopping compulsivo è la versione patologica del normale e sano gesto dell’acquisto: se ne snatura cioè la finalità, sostituendo la necessità dell’oggetto con una spinta emotiva patologica, e la modalità non è più una scelta ma un’ossessione”, spiega Mosini, ricordando che alla stima del 5% di italiani con disturbo vero e proprio, se ne aggiungono “molti altri che vivono varie forme di disagio correlate allo shopping senza che vi sia ancora un vero problema”. “Le persone con un disturbo da shopping compulsivo – spiega – non sanno assolutamente rispettare un budget e non hanno cognizione di quel che serve loro e di quel che possono davvero permettersi”.

I ‘malati di shopping’ – per il 95% donne, soprattutto fra i 20 e i 30 anni, persone che hanno o hanno avuto un disturbo della sfera emozionale come ansia, fobie, depressione -“non descrivono più solo il piacere insito nell’andare a fare shopping, quanto piuttosto la tensione, il disagio, il senso di non potersene sottrarre”, spiega la psicoterapeuta. E quando arrivano dal medico sono talvolta “in una condizione drammatica, perché magari hanno speso tutti i soldi che avevano (a prescindere da quanti fossero), hanno mentito ai loro familiari, utilizzando soldi e risorse di nascosto, omettendo acquisti. Inoltre spesso queste persone hanno una situazione sociale compromessa. Tuttavia – sottolinea – è difficile che questi soggetti arrivino effettivamente pentiti, perché il piacere e il brivido che precedono e accompagnano l’andare a fare acquisti rimane. È come per coloro che sono dipendenti dall’alcol o da sostanze stupefacenti”. Dunque il periodo dei saldi rappresenta una ulteriore ‘tentazione’.

“I pazienti con un disturbo da shopping compulsivo – spiega ancora la psicoterapeuta – presentano diversi profili psicologici, e il gesto dell’acquisto può avere significati diversi, ma sicuramente per molti comprare rappresenta una strategia disfunzionale di regolazione di emozioni negative. Attualmente lo shopping compulsivo non viene riconosciuto come una diagnosi a sé stante ma rientra nella categoria ‘disturbo del controllo degli impulsi non altrimenti specificato’; anche per questo non è facile avere stime esatte” sull’entità del problema. A questo si aggiunge che “è difficile evidenziare il confine tra lo shopping, atto di compensazione praticato dalla maggior parte della popolazione in modo abitudinario e innocuo, e lo shopping compulsivo che invece invalida la vita sociale, finanziaria, familiare e relazionale dell’individuo”.

Ma ci sono alcuni ‘segnali’ da non sottovalutare: “I problemi – avverte l’esperta – iniziano quando per trovare appagamento, coccole, consolazione e gratificazione, per ‘raddrizzare la giornata’, ‘per sentirci meglio’, l’acquisto diventa frequente, se non regolare, trasformandosi in un gesto ossessivo. Quindi un campanello di allarme è la frequenza. O quando, pur non volendolo e non potendolo fare, ci si ritrova quasi senza deciderlo, con un oggetto acquistato. Anche la perdita di volontarietà – aggiunge – è un campanello d’allarme. Poi c’è l’eccesso (tendenza a comprare cose con prezzi superiori a quelli che effettivamente ci potremmo permettere), ma soprattutto va considerato il significato emozionale che ha il gesto. Quando questo diventa rilevante (bisogno, necessità di appagamento, di gratificazione, senso di astinenza-necessità quasi fisica) dobbiamo stare allerta e alzare la guardia”, ammonisce infine Mosini.

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