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L’allarme degli esperti, l’Italia rischia l’esclusione dalla ricerca clinica europea

22 Febbraio 2022

Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute)() – “L’Italia rischia di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che è già partito il 31 gennaio scorso, con l’entrata in vigore del ‘Clinical Trial Information System’ (Ctis), il portale unico europeo per le sperimentazioni”. E’ l’allarme lanciato dalla Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce). Il Ctis, ricorda la Federazione, è stato istituito dal Regolamento europeo 536 del 2014, stabilendo regole uniformi per armonizzare il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri. Una vera e propria rivoluzione, che mira ad attrarre più risorse per la ricerca in Europa. Ma l’Italia non si è ancora adeguata come richiesto dal Regolamento, spiegano gli esperti in una conferenza stampa on line.

“Sono trascorsi quasi otto anni dall’emanazione del Regolamento europeo, ma l’Italia – denuncia Francesco Cognetti, presidente Foce -rischia di restare ferma in una fase di transizione di un anno e sarà impossibile aggregarsi al resto del Continente quando il sistema sarà già consolidato. In questo modo – è la preoccupazione di Cognetti – perdiamo i vantaggi che derivano da sperimentazioni che vedranno escluso il nostro Paese e che prevedono un arruolamento e una valutazione centralizzata identica per tutti i Paesi membri. Con conseguenze molto gravi per i nostri pazienti, che non potranno usufruire dei grandi vantaggi dell’innovazione prodotta dalla ricerca”.

“In base agli ultimi dati disponibili, nel 2019, in Italia, sono state autorizzate 672 sperimentazioni, 516 profit e 156 no profit. E i due terzi – rimarca il presidente Foce – interessano complessivamente proprio le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono di nuovo i due terzi della mortalità annuale nel nostro Paese. Il Regolamento segna un cambiamento epocale negli studi clinici, passando dalla gestione nazionale al coordinamento a livello europeo. Se il nostro Paese, come auspicato più volte dal presidente del Consiglio Mario Draghi, vuole ritrovare una competitività internazionale – insiste Cognetti – deve inserire la ricerca scientifica come priorità massima nell’agenda governativa”.

Gli investimenti complessivi pubblici e privati in questo settore in Italia equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno – ricorda Foce – di cui il 92% proveniente da finanziamenti di aziende farmaceutiche per studi profit.

“La ricerca clinica – spiega Paolo Corradini, vicepresidente Foce e presidente della Società italiana di ematologia – è un motore di sviluppo economico e sociale, che può offrire un contributo importante al recupero dell’attuale crisi sanitaria. Vi sono poi ricadute positive per i fornitori di servizi e sull’occupazione, grazie all’impiego di profili professionali di elevata specializzazione. E i centri in cui vengono svolte le sperimentazioni cliniche garantiscono la crescita dei ricercatori coinvolti. Senza dimenticare – aggiunge Corradini – i grandi vantaggi per i pazienti, che accedono a terapie innovative anche alcuni anni prima della rimborsabilità. A ciò vanno aggiunti i risparmi per il Ssn e per le singole strutture, in termini di erogazione a titolo gratuito dei farmaci sperimentali e di controllo, i cui costi sono interamente a carico delle aziende sponsor”.

È stato stimato, soltanto nell’area dell’oncoematologia, un risparmio potenziale di circa 400 milioni di euro ogni anno – sottolinea Foce – e, quindi, valutabile per alcuni miliardi per tutto il sistema. Da maggio 2014 è stata emanata la cosiddetta ‘Legge Lorenzin’ che delegava il Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia di sperimentazione clinica e che prevedeva che, entro 12 mesi dalla data della sua entrata in vigore, si dovessero emanare uno o più decreti delegati per la piena attuazione del Regolamento europeo. Così non è stato. Ecco perché, scaduta la delega, potrebbe essere necessaria di nuovo un’altra legge delega, per ricominciare daccapo.

“Il ‘Clinical Trial Information System’ diventa il punto di accesso unico per la presentazione, l’autorizzazione e la supervisione delle domande di sperimentazione clinica nell’Unione europea e nei Paesi dello Spazio economico europeo (See). Attualmente – chiarisce Fabrizio Pane, tesoriere Foce e Past President Società italiana di ematologia – gli sponsor devono presentare le domande separatamente alle autorità nazionali competenti e ai comitati etici di ciascun Paese per ottenere l’approvazione regolatoria. Grazie al Ctis, gli sponsor potranno richiedere l’autorizzazione in un massimo di 30 Paesi See a partire da un’unica domanda”.

“Un quadro regolatorio identico in ciascun Stato membro – sottolinea Pane – garantisce la conduzione degli studi clinici in una modalità univoca, con tempistiche definite e certe. Inoltre, rende più facile e veloce l’arruolamento dei pazienti e la chiusura degli studi. Serve quindi un decreto delegato che stabilisca i requisiti dei centri autorizzati alla conduzione delle sperimentazioni cliniche, dalla fase I alla IV, prevedendo anche il monitoraggio annuale e la pubblicazione dell’elenco delle strutture autorizzate nel portale dell’Agenzia italiana del farmaco”.

Il Regolamento europeo inoltre richiede che le persone incaricate di convalidare e valutare la domanda non abbiano conflitti d’interesse, siano indipendenti dal promotore, dal sito di sperimentazione clinica e dagli sperimentatori coinvolti nonché dai finanziatori, e siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento.

“Durante il primo anno di validità del Regolamento, gli sponsor hanno l’opzione di decidere se sottomettere le nuove sperimentazioni seguendo gli standard precedenti o in accordo con quelli aggiornati”, spiega Guido Rasi, Past executive director dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), ordinario di Microbiologia all’Università di Tor Vergata di Roma e consulente del commissario Figliuolo per l’emergenza Covid-19 .

Dopo il 31 gennaio 2023, tutte le sperimentazioni dovranno essere sottomesse secondo i nuovi standard. E gli studi ancora in corso dovranno passare ai nuovi criteri non più tardi del 31 gennaio 2025, ma la competizione è già iniziata da tre settimane e noi – sottolinea Rasi – ne siamo fuori. Altri Stati europei sono in realtà pronti da anni, con la precisa strategia di beneficiare degli studi che i Paesi in ritardo organizzativo non potranno svolgere. L’Italia è in forte ritardo e deve recuperare in fretta il terreno perduto, perché ricerca e innovazione portano miglioramenti della qualità dell’assistenza. Per recuperare – spiega Rasi – ci vorranno anni ed investimenti. Essere stati pronti ora sarebbe stato a costo zero. L’intero ‘Sistema Paese’ rischia di restare ai margini in termini di finanziamenti, respiro internazionale e collaborazione con i grandi centri”.

“L’Italia è al vertice nel mondo per i risultati ottenuti nelle ricerche scientifiche – ricorda Walter Ricciardi, presidente del ‘Mission Board for Cancer’ dell’Unione europea e consigliere scientifico del ministro della Salute – non possiamo perdere questo primato. Gli ostacoli ancora da superare sono noti: troppi comitati etici, scarso coordinamento fra questi enti che agiscono spesso in base a protocolli differenti, tempi di autorizzazione e avvio degli studi eccessivamente lunghi, enormi differenze nei contratti per le sperimentazioni”.

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