Obesità grave pediatri Sip: “Per oltre 100mila bimbi rischio -15 anni vita”

Roma, 29 mag. (Adnkronos Salute) – In Italia più di 100mila bambini e adolescenti sotto i 17 anni convivono con un tipo di obesità che non è solo precoce e persistente, ma anche particolarmente pericolosa: si chiama obesità grave. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità (sistema di sorveglianza OKkio alla Salute), questa condizione riguarda almeno il 2,6% dei bambini di 8-9 anni. Se si considerano le definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la stima si conferma allarmante. “L’obesità grave in età evolutiva è associata a rischi molto seri. Anche nel breve termine parliamo di ipertensione, diabete tipo 2, dislipidemia, fegato grasso, ma anche ansia, isolamento sociale, bassa autostima. E i ragazzi che ne soffrono rischiano una riduzione dell’aspettativa di vita anche di oltre 15 anni rispetto ai loro coetanei normopeso”, spiega Claudio Maffeis, professore ordinario di Pediatria all’Università di Verona. Si tratta di un dato che preoccupa la Società italiana di pediatria (Sip) che, in occasione del congresso nazionale in corso a Napoli, rilancia l’urgenza di riconoscere e trattare tempestivamente questa condizione, ancora troppo spesso sottovalutata. Per evitare che un sovrappeso si trasformi in una malattia cronica, il primo passo è non aspettare – ammoniscono gli esperti – e agire tra i 6 e i 9 anni per ridurre l’indice di massa corporea Bmi.
Come ribadito nella recente Consensus congiunta delle società scientifiche pediatriche Sip-Siedp-Sicp, è fondamentale il ruolo del pediatra nella diagnosi, distinguendo tra obesità primitiva – la forma più frequente – e forme secondarie a cause genetiche, farmaci o patologie. Campanelli d’allarme sono l’esordio precoce (sotto i 5 anni), disturbi cognitivi, dismorfismi e iperfagia (ovvero un impulso incontrollato a mangiare anche in assenza di fame). Secondo la definizione condivisa dalle principali società scientifiche pediatriche italiane, si parla di obesità grave quando il Bmi supera il 99° percentile per età e sesso, secondo i parametri Oms. L’indicatore di rischio più semplice da osservare anche in famiglia è il rapporto vita/statura: se la circonferenza della vita supera la metà dell’altezza, è già un segnale. Se supera il 60%, il rischio è molto elevato. Questo indicatore è valido per maschi e femmine dai 6 anni in su. Sarà poi il pediatra a eseguire la diagnosi e a prescrivere gli accertamenti del caso.
E’ fondamentale agire tempestivamente – avvertono gli esperti – Più si ritarda, più la situazione si complica. Secondo uno studio recente, i programmi intensivi sullo stile di vita riescono a ridurre il Bmi in oltre il 50% dei bambini tra i 6 e i 9 anni, ma hanno effetti quasi nulli negli adolescenti: solo il 2% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni risponde positivamente. “L’età fa la differenza. Se interveniamo tra i 6 e i 9 anni possiamo davvero cambiare le traiettorie di salute dei bambini – sottolinea Rino Agostiniani, presidente Sip – Questo dato conferma che la prevenzione precoce è oggi la chiave per contrastare l’aumento dell’obesità grave e delle sue conseguenze nel tempo”.
Controlli regolari dal pediatra, attenzione ai segnali precoci, uno stile di vita sano in famiglia: sono queste le armi più efficaci per gli specialisti. I bambini apprendono per imitazione: genitori attivi, che mangiano bene e fanno movimento, trasmettono ai figli un modello positivo. E poi c’è una regola fondamentale: non improvvisare. No a diete drastiche, no a farmaci ‘fai da te’. L’obesità grave è una malattia e come tale va affrontata, con équipe multidisciplinari e centri specializzati con una terapia multiprofessionale con follow- up. Sono da evitare diete e trattamenti non approvati dalle società scientifiche internazionali pediatriche o autoprescritte.
Occorre inoltre tenere presente che i bambini con obesità grave spesso presentano difficoltà motorie che ostacolano la partecipazione all’attività fisica, alimentando un circolo vizioso di inattività, isolamento, bassa autostima e peggioramento del quadro clinico. E’ proprio in questi casi – evidenziano i pediatri Sip – che la sola prescrizione di dieta e sport non basta. La terapia cognitivo-comportamentale, soprattutto se coinvolge tutta la famiglia, ha dimostrato di essere molto più efficace dei soli interventi nutrizionali perché modifica i comportamenti disfunzionali legati al cibo e allo stile di vita, rafforzando la motivazione e la capacità di affrontare il cambiamento.
Accanto a dieta e movimento, oggi è disponibile anche in Italia un nuovo approccio terapeutico: farmaci agonisti del recettore Glp1, già in uso tra gli adulti, ora prescrivibili anche agli adolescenti dai 12 anni in presenza di obesità grave con complicanze o dopo il fallimento di altri interventi. “Questi farmaci aiutano a regolare il senso di fame e sazietà e si sono dimostrati efficaci nel ridurre peso e fattori di rischio cardiometabolico – conferma Maffeis – Ma vanno prescritti solo in centri specializzati e all’interno di un percorso strutturato e multidisciplinare”. Ad oggi il costo di questi farmaci è a carico dell’assistito. Altri medicinali molto promettenti ad azione agonista su più recettori ormonali saranno presto utilizzabili anche per gli adolescenti. Un’altra molecola, la setmelanotide, è ora indicata per il trattamento di alcune forme molto rare di obesità monogenica o sindromica (sdr di Bardet Biedl), e la metreleptina è utilizzabile per i rarissimi casi di deficit dell’ormone leptina o sue forme inattive.
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