Salute: Adi, epidemia obesità mai finita, insistere su prevenzione
Roma, 4 mar. (Adnkronos Salute) – “Mentre Covid-19 negli ultimi 2 anni ci ha costretti a rivedere le priorità sanitarie del Paese, altre patologie, altre epidemie continuavano purtroppo il loro corso e in alcuni casi il loro incremento. L’obesità è sicuramente una di queste, una malattia che ha ormai raggiunto gli effetti di una pandemia, di cui troppo poco e male si parla, e che ha bisogno di programmi di prevenzione urgenti e mirati e soprattutto risposte per tutti i pazienti che si vedono riconoscere la malattia, ma senza esenzione per le cure e per i medicinali”. Così l’Adi, Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, è intervenuta durante la conferenza istituzionale organizzata oggi a Palazzo Madama dall’Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete per il World Obesity Day, che ricorre domani 4 marzo in tutto il mondo.
“Un grande passo è stato fatto con l’approvazione nel 2019 della mozione al Senato che ha riconosciuto l’obesità come malattia e ha sancito i diritti e i doveri delle persone con obesità – commenta Giuseppe Malfi, presidente Adi – Ora è necessario un altro sforzo per farla riconoscere dal Servizio sanitario nazionale come patologia cronica con la relativa esenzione per le prestazioni, i farmaci e gli integratori post-chirurgia che ora sono a carico del paziente. Solo così si garantisce un giusto accesso alle cure come per le altre patologie croniche tipo il diabete. Il paziente affetto da obesità viene spesso descritto come pigro, con poca forza di volontà, incapace di risolvere il suo problema. Bisogna combattere questo ‘stigma’ – esorta lo specialista – e considerarlo un malato vero che deve essere accolto e curato con la stessa dignità e lo stesso rispetto che si riserva ad altre malattie croniche”.
“L’ambiente in cui viviamo è diventato ‘’obesogeno’, specie per alcune fasce di popolazione – osserva Maria Grazia Carbonelli, consigliere Adi e coordinatore del gruppo di studio sull’obesità – I fattori ambientali come alimentazione e stile di vita contribuiscono per il 30% all’insorgenza della patologia”, mentre “per il 70% influisce la predisposizione genetica. Bambini con genitori obesi hanno alta probabilità di diventare obesi, vi sono circa 240 geni direttamente o indirettamente coinvolti. La sedentarietà è diventata la costante delle nostre giornate sia per gli adulti che per i bambini e questo non ci ha aiutati a mantenere un giusto peso. Ciò significa che, nonostante i tanti appelli e le tante campagne, la prevenzione non è ancora efficace e soprattutto non è ancora abbastanza”.
Secondo gli specialisti dell’Adi, la prevenzione per una patologia così complessa come l’obesità deve essere fatta su vari fronti: va fatta dalla famiglia che deve tramandare le abitudini della dieta mediterranea, dalla scuola e dalla ristorazione scolastica per i bambini, dalla ristorazione collettiva per i lavoratori che consumano il pasto fuori casa, e dal sistema sanitario nazionale con le campagne di sensibilizzazione.
“Servono strutture e spazi che permettano l’attività fisica sia nelle scuole che negli ambienti di lavoro, nei parchi e negli spazi verdi delle nostre città – aggiunge Carbonelli – Un grande aiuto deve arrivare anche dall’industria alimentare che deve immettere sul mercato cibo sano ad un prezzo accessibile a tutte le fasce di popolazione. Solo se queste azioni vengono svolte contemporaneamente, si possono avere risultati significativi”.
Infine, l’importanza delle competenze. “I centri di cura dedicati sono importantissimi per inquadrare e scegliere il giusto percorso terapeutico – rimarca Malfi – La multifattorialità di una patologia come l’obesità implica che venga trattata da centri multidisciplinari che però nel nostro Paese sono a macchia di leopardo. Le figure professionali interessate sono molteplici e variano in base alle complicanze presenti. Sicuramente indispensabili sono le figure che si occupano di nutrizione, di psicologia, di riabilitazione, di chirurgia bariatrica. La presenza di centri dedicati evita che i pazienti si rivolgano a personale non qualificato che propaganda percorsi miracolosi e spesso rischiosi per la salute”.
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