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Salute: allerta endocrinologi, obesità triplicata in donne e raddoppiata in uomini

30 Giugno 2025

Roma, 30 giu. (Adnkronos Salute) – Negli ultimi decenni, e specie in corso e nel post pandemia, l’obesità ha subito una forte crescita con un incremento del 38% tra il 2003 e il 2023, secondo gli ultimi dati Istat, coinvolgendo all’incirca 6 milioni di italiani, soprattutto giovani adulti (+1,6 milioni), con percentuali passate dal 2,6% al 6,6% nella fascia di età 18-34, a discapito soprattutto delle donne, con una incidenza triplicata – il 10% della popolazione femminile si stima sia obesa – a fronte di numeri ‘solo’ raddoppiati nell’uomo. Non va meglio nella forbice tra 35 e 44 in cui si osserva una crescita dal 6,4% al 9,8%, e tra gli over 74 con tassi incrementati dall’11% del 2003 al 13,8% del 2023. Oggi nuovi farmaci consentono di gestire e controllare meglio l’obesità.

Attesi da tempo, sono ora sono disponibili anche in Italia i nuovi farmaci agonisti del recettore Glp-1 (Glp-1Ra) e il dual agonist (Glp1 + Gip) che mimano ormoni naturali prodotti nell’intestino e stimolano il rilascio di insulina favorendo il controllo dei livelli di glucosio nel sangue del paziente con diabete di tipo 2 e che si stanno dimostrando efficaci e sicuri anche nel contrasto del peso in contesti di obesità. Questi farmaci, che stanno cambiando lo scenario di approccio e cura in questo setting di pazienti, sono stati al centro del ‘3°Ame Obesity Update: trattamento dell’obesità e delle sue complicanze’, promosso dall’Associazione medici endocrinologi, che si è appena concluso a Roma, all’auditorium dell’Ospedale Regina Apostolorum – Gruppo Lifenet Healthcare.

“I nuovi farmaci – spiega Andrea Frasoldati, presidente Ame – rappresentano uno strumento terapeutico innovativo in grado di modificare la storia naturale della malattia, in sinergia con un ampio armamentario di altre opzioni di trattamento come il counselling dietologico e psicoterapico, la chirurgia bariatrica, quando indicata. A portare il ‘peso’ maggiore dell’obesità sono tradizionalmente le donne, che pagano un prezzo più alto, rispetto all’uomo, in termini di stigma sociale e di colpevolizzazione, a causa di barriere culturali e modelli estetici dominanti, talora di implicazione sessista, che hanno portato a idealizzare una bellezza femminile tendente alla magrezza, diversamente dal maschio, in cui qualche chilo in eccesso viene erroneamente interpretato come segno di benessere. Non vanno poi trascurate le implicazioni sulla fertilità e gravidanza nella donna con obesità esposta a importanti rischi per sé e per il nascituro”.

Nella donna con obesità che desidera diventare madre, solo alcune delle problematiche che possono insorgere comprendono: difficoltà al concepimento, problemi a portare a termine la gravidanza, aborto spontaneo, parto pretermine, distacco di placenta, diabete gestazionale, disordini di natura fetale (bambini di più grandi o di più piccole dimensioni rispetto all’età gestazionale) e ipoglicemia neonatale.

“I nuovi trattamenti farmacologici, specificatamente gli analoghi recettoriali del Glp1– evidenzia Silvia Irina Briganti, medico e membro della commissione obesità Ame – possono essere finalizzati anche a ridurre il peso ‘in vista’ di una eventuale gravidanza. Tuttavia, al riguardo, gli studi sono pochi per la difficoltà a effettuarli in questa specifica fascia di popolazione e per la loro recente introduzione in Italia. Le ridotte evidenze, soprattutto in termini di sicurezza, spingono a un uso cautelativo. La somministrazione di Glp1 e dual agonist richiede, ad esempio, ‘di sospendere semaglutide e tirzepatide nei 2 mesi che precedono il concepimento o, in caso della liraglutide, oggi in dismissione, un paio di settimane. A tale proposito – sottolinea – le donne vanno correttamente informate per evitare che incorrano in rischi soprattutto di malformazioni fetali, così come della necessità di seguire un percorso terapeutico ben definito, multidisciplinare e che coinvolga più figure professionali, in primo luogo l’endocrinologo e il ginecologo, lungo tutta la gravidanza. Le donne – avverte – devono essere parte attiva di un attento programma, oltre che terapeutico, anche di counselling e educazionale”.

Spesso, nella gestione dell’obesità, si trascura la possibile implicazione con un disturbo compulsivo, una fame emotiva, che spinge la persona a ricercare il cibo come atto compensatorio-consolatorio o come valvola antistress e un sedativo dell’ansia. “Se l’aspetto emotivo non è conosciuto o non viene riconosciuto – precisa Simonetta Marucci, coordinatrice Commissione Rapporti Slow Medicine di Ame – si rischia di fallire nell’approccio al paziente, anche nel caso in cui si impieghi il farmaco, che è un supporto allo stile di vita non il sostituto. La fame emotiva caratterizza 1 obeso su 3 (35%) con disturbo alimentare compulsivo (Bed, Binge Eating Disorder) cui si aggiunge una fascia grigia con manifestazioni sottosoglia. Recenti studi – illustra – sembrano dimostrare l’efficacia degli agonisti Glp1 anche nel trattamento di forme obesità in cui prevale l’aspetto compulsivo, grazie” all’azione “sui centri che regolano fame, sazietà, piacere e mangiare edonico legato più a gratificazione che alla nutrizione. Oggi, obiettivo della ricerca clinica è confermare l’efficacia di farmaci Glp1 anche a lungo termine e l’aderenza terapeutica: l’abbandono della terapia, come noto, porta a un effetto rebound del peso”.

Attualmente “queste terapie sono legate ad almeno 2 criticità – evidenzia Marucci – la prescrivibilità, consentita solo a pazienti diabetici e l’elevato costo, non sostenibile per tutti. Anche le forme di obesità da disturbo compulsivo richiedono un approccio multidisciplinare con un’azione di counselling educativi, in sinergia con percorso piscologico/psichiatrico di almeno 2 anni, seguito da un periodo di follow-up dilazionato nel tempo. I disturbi alimentari sono classificati nel Dsm V come malattie mentali ma si caratterizzano anche per una gravità a livello fisico, endocrinologico, cardiologico, con un impatto sulla salute mentale”.

Nel tempo, sono diminuiti i pregiudizi di tipo culturale, sociale, etico, religioso, sessuale. “Assistiamo, nei confronti dei pazienti con obesità, a pregiudizi e stigmatizzazione esternalizzata – afferma Anna Nelva, coordinatrice Commissione Lipidologia e metabolismo di Ame – che si ripercuotono ad esempio sul mondo del lavoro portando a stimare che la persona con patologia priva di disciplina e di organizzazione, con effetti penalizzanti in termini di assunzione, avanzamento di carriera, o a pregiudizi in ambito sociale, famigliare e, in contesti scolastici, con atti di bullismo, fino a ripercussioni in contesti assistenziali con follow-up meno ravvicinati rispetto a persone normopeso. Dall’altro, l’internalizzazione dei pregiudizi induce la persona con obesità ad accettare stereotipi negativi che ne minano l’autostima e innescano stati d’ansia e depressione, a loro volta causa di alterazioni dell’alimentazione che peggiorano l’obesità stessa” e accesso alle cure.

L’invito di Nelva è di “lavorare anche per rimuovere i pregiudizi che spesso circondano chi si avvale di terapia farmacologica o della chirurgia bariatrica, come se avesse scelto ‘la via più facile’. La disponibilità di questi nuovi farmaci così efficaci nel contrastare l’obesità è diventata anche un’occasione per una riflessione fra i clinici sugli effetti causali rilevanti di caratteristiche genetiche e pressioni di un ambiente obesogeno, oltre a far accrescere la consapevolezza su questa condizione. Per permettere al paziente con obesità di avere il massimo beneficio dalle attuali possibilità di cura, comunque, sarà necessaria una forte azione di supporto sociale e sanitario, oltre che un aiuto per superare i pregiudizi internalizzati riguardanti il peso”.

In questo contesto “occorre un cambio di visione anche istituzionale per la cura del paziente obeso, altamente complesso – conclude Marco Chianelli, Coordinatore Commissione Obesità Ame e responsabile scientifico del Congresso – A livello governativo va posta una maggiore partecipazione attraverso l’inclusione dell’obesità in percorsi diagnostici terapeutici e con processi che possano riguardare ambienti importanti come la scuola, dove la cultura della corretta alimentazione e dell’attività fisica devono essere promosse sin dall’infanzia o negli ambienti di lavoro. A livello di Sistema sanitario nazionale invece, il ruolo maggiore si gioca sulla gestione di oltre 6 milioni di pazienti obesi – una vera pandemia – indagando con cura le diverse componenti che concorrono al sovrappeso e obesità: genetiche, ambientali, psicoemotive. Solo un approccio sistemico e collaborativo, con la partecipazione attiva di tutti gli attori impegnati nella gestione di obesità e il sovrappeso – conclude – consente e consentirà di affrontare la sfida globale contro questa pandemia”.

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