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Salute, associazione Mici: “Migliorate assistenza e qualità vita pazienti”

8 Febbraio 2024

Roma, 8 feb. (Adnkronos Salute) – “Rispetto a una fotografia precedente, è emerso un miglioramento sia nell’assistenza che nella qualità di vita delle persone con malattia di Crohn e colite ulcerosa. La recente indagine Acquire-Ibd puntava a fare un’istantanea della situazione e dei bisogni inespressi dei pazienti, dal punto di vista dal suo punto di vista”. Lo ha detto Salvo Leone, direttore generale di Amici Ets – Associazione per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Mici), commentando i dati della survey che ha coinvolto un campione di 1.300 persone, condotta con il supporto tecnico e scientifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nello specifico di Engagement Hub, presentati a Milano durante l’incontro con la stampa ‘Malattia di Crohn e colite ulcerosa: diamo luce all’invisibile’, promossa da Abbvie.

Il quadro generale emerso dall’indagine è incoraggiante, ma le sfide non mancano. “Soltanto il 10% dei pazienti con colite ulcerosa è informato in maniera importante sulla malattia – sottolinea Leone – una percentuale che sale al 18% nel caso dei pazienti affetti da malattia di Crohn. Un paziente su 3 vive la malattia con uno stato di allerta costante, una condizione che può incidere sulla qualità di vita e anche sulla qualità delle cure. Negli anni la comunità scientifica è diventata più brava a sostenere e a curare i pazienti con queste patologie, ma c’è tantissimo ancora da fare – riflette il direttore generale di Amici – Siamo ad esempio molto focalizzati sul paziente quando arriva in ospedale, ma probabilmente dobbiamo fare qualcosa di più per sostenerlo, seguirlo e supportarlo tra una visita e l’altra”.

Anche lo stigma che gravita intorno allo stato di malattia cronica influisce notevolmente sul paziente. “Stiamo parlando di patologie caratterizzate da una disabilità non visibile, con sintomi difficili da raccontare – rimarca Leone – Se non c’è conoscenza, le persone che vivono attorno al paziente, che non sono quelle più vicine alle quali il malato ha raccontato la sua reale condizione, potrebbero non capire. Lo stigma molte volte è frutto di ignoranza: non ignoranza legata alla non comprensione, ma proprio al fatto di non sapere”.

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