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Sanità: Ordini medici, ‘pandemia ha ridotto aggressioni ma c’è tanto da fare’

10 Marzo 2022

Roma, 10 mar. (Adnkronos Salute)() – “L’anomalia della pandemia ha modificato i numeri e di fatto ha ‘ridotto’ il numero delle aggressioni agli operatori sanitari ma rimane un deficit culturale nei confronti dei processi che determinano la violenza contro medici e infermieri. Va posto il problema di una rete di protezione verso chi lavora in determinate condizioni che lo espongono a un maggior rischio di essere da solo ad affrontare una violenza verbale e fisica”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, facendo il punto in vista della Giornata europea di sensibilizzazione contro la violenza nei confronti dei medici e degli altri operatori sanitari che si celebra il 12 marzo.

Gli ultimi numeri disponibili sulle violenze nei confronti degli operatori sanitari, elaborati dalle denunce presentate all’Inal nel 2019 da parte del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale, indicavano 1.388 aggressioni l’anno, quasi 4 al giorno. Inoltre il 9% degli infortuni denunciati all’Inail tra gli operatori sanitari tra il 2015 e il 2019 sono casi di aggressione, il 72,4% di questi episodi di violenza hanno riguardato le donne, con 7.858 casi contro 3.000.

“Oggi abbiamo una legge che ci tutela e con la quale abbiamo raggiunto due risultati: l’aumento delle pene e la procedibilità d’ufficio. Quest’ultima è un deterrente perché non c’è più l’alibi che ad ogni aggressione il medico doveva denunciare per poter attivare l’azione penale – ricorda Anelli -. Il vero problema è che dobbiamo provare a riformulare la raccomandazione numero 8 del ministero della Salute (‘Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari’) che era quella che consentiva alle aziende sanitarie di valutare il rischio di aggressione per determinare i deficit di carattere organizzativo che ne sono stati la causa. Questo aspetto sarà oggetto di discussione dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, che si riunisce per la prima volta domani. Anche questo è un altro pezzo delle legge che prende forma”.

Anelli ha poi ricordato che sul tema delle violenze ai danni dei professionisti della sanità c’è un aspetto di carattere organizzativo che “riguarda i pronto soccorso e le guardie mediche” che sono “molto vulnerabili”, per questo “abbiamo in programma di incontrare l’assessore Raffaele Donini, coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, nell’ambito del protocollo che abbiamo sottoscritto con le Regioni per sapere cosa stanno facendo su questo tema e coordinarci”.

Prima della pandemia uno dei temi ‘caldi’ nel dibattito sulle violenze ai danni dei camici bianchi era quello di garantire la sicurezza degli operatori dei Pronto soccorso, in prima linea quando si parla di essere il bersaglio di aggressioni. “L’idea era di tornare ad avere un presidio di polizia all’interno dei dipartimenti di emergenza-urgenza – spiega Anelli – Abbiamo sentito il ministro Luciana Lamorgese che però ci ha espresso una difficoltà a livello di unità operative che renderebbe questo obiettivo molto complesso da realizzare. Se è vero che deve ispirarci la cultura della non violenza è anche giusto provare a rispondere in modo preventivo, purtroppo i vigilantes delle aziende sanitarie non hanno la possibilità di intervenire in caso di aggressioni”.

In conclusione Anelli ribadisce che “tutelare il lavoro delle persone è una priorità, i cittadini sono esasperati nel momento in cui hanno un bisogno di assistenza e questo non viene preso in carica dal sistema sanitario. Ma le liste d’attesa – ribadisce il presidente Fnomceo – si abbattono investendo anche sui professionisti”.

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