Studio svela ruolo chiave del sistema immunitario in Sla di tipo 4
Roma, 5 lug. (Adnkronos Salute) – A pochi giorni dalle celebrazioni dello Sla Global Day, segna un nuovo traguardo la ricerca sulle cause della sclerosi laterale amiotrofica. Uno studio pubblicato su Nature rileva come anche il sistema immunitario, insieme al sistema nervoso centrale, possa svolgere un ruolo fondamentale nella diagnosi e nel trattamento della Sla cosiddetta di tipo 4, una forma giovanile e lentamente progressiva della malattia, causata da mutazioni nel gene della senataxina (Setx). Il lavoro, coordinato da un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di microbiologia dell’Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York – si legge in una nota dei Centri clinici Nemo – vede come unico partner italiano il Centro clinico Nemo di Milano, che nel 2010 aveva diagnosticato la prima famiglia in Italia con Sla-4, iniziando a comprendere come la risposta acquisita del sistema immunitario, fondamentale nel proteggere il nostro organismo contro l’attacco di agenti patogeni, può essere coinvolta in alcune forme di Sla.
Il team dell’area Sla del Nemo di Milano, con la collaborazione del Laboratorio di genetica medica dell’Asst Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano, ha infatti identificato la prima famiglia italiana con diversi membri affetti da Sla con mutazione della senataxina. Dalla diagnosi del primo paziente, effettuata dopo 15 anni di convivenza con la malattia, è stata ripercorsa la storia genetica parentale, ricongiungendo tutti i 7 familiari, di diverse età e residenti fino in Germania, che hanno potuto dare così un nome alla patologia di cui sono affetti. I dati raccolti dal lavoro del Centro Nemo hanno permesso di iniziare a mettere a sistema la correlazione tra la mutazione della senataxina e la disfunzione del sistema immunitario nella Sla, contribuendo così a fornire razionale scientifico per lo studio condotto in laboratorio sul modello animale.
“Sappiamo che i meccanismi infiammatori giocano un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione della Sla – afferma Christian Lunetta, neurologo, referente area Sla del Centro clinico Nemo di Milano al momento dello studio e oggi all’Irccs Maugeri di Milano – e questo studio permette di compiere un passo importante nel confermare che, nel sottotipo di Sla di tipo 4, il processo neurodegenerativo è legato a una risposta disfunzionale di una specifica popolazione di linfociti, cellule del sistema immunitario, che si attivano per difendere l’organismo dall’attacco di patogeni, ma che risultano particolarmente attive sia nei pazienti affetti da Sla tipo 4 sia sul modello animale associato a mutazione con senataxina”.
Un lavoro a più mani, che si è intrecciato con le storie di vita di pazienti e ricercatori, come ricorda Lorena Mosca, biologa della Genetica medica di Niguarda: “Nel 2010 – ricorda – l’analisi del gene Setx, eseguita nei nostri laboratori grazie al lavoro della dottoressa Silvana Penco, è risultata fondamentale per l’identificazione della prima famiglia italiana affetta da Sla-4, permettendo così la diagnosi di malattia. Inoltre, nel 2021 la raccolta e la processazione di nuovi campioni provenienti dalla stessa famiglia hanno permesso di confermare nell’uomo gli interessanti dati precedentemente ottenuti nel modello animale mutato nel gene Setx. Questi importanti risultati sono stati raggiunti grazie alla sinergia e alla stretta collaborazione tra il Centro clinico Nemo e il nostro laboratorio, che da sempre caratterizzano il nostro operato”.
Il nuovo studio, dopo un lungo lavoro di approfondimento – prosegue la nota – non solo conferma quanto già si conosce rispetto all’influenza di diversi geni associati alla Sla sulle funzioni immunitarie di chi ne è affetto, ma introduce un’informazione importante nella storia della Sla di tipo 4, per la quale sono le stesse caratteristiche immunitarie specifiche del paziente che ne definiscono il sottotipo.
“Nello studio – sottolinea Laura Campisi, assistant professor che ha co-diretto il progetto insieme a Ivan Marazzi, professore associato, entrambi del Mount Sinai di New York – abbiamo osservato che la perdita delle capacità motorie avviene solo se la mutazione del gene Setx è espressa sia nelle cellule del sistema nervoso centrale che in quelle del sistema immunitario. Non solo, abbiamo riscontrato anche delle anomalie del sistema linfocitario che caratterizza la Sla di tipo 4, sia nel modello animale che nei pazienti. Infatti, un’alta concentrazione di cellule linfocitarie T CD8, che in genere svolgono un ruolo nell’eliminazione di cellule tumorali o infettate da patogeni, è presente nel midollo spinale e nel sangue, sia del modello animale che dei pazienti affetti da Sla-4. In particolare, l’aumento di una sotto-popolazione di linfociti T CD8 chiamati Temra correla direttamente con la progressione della malattia”.
Un secondo aspetto rilevato dalla ricerca, infine, potrebbe avere ricadute concrete nella pratica clinica. I dati rilevano infatti come la disfunzione delle cellule linfocitarie T CD8 sia osservabile nel sangue periferico sia nei modelli animali che nei pazienti, e ciò permetterebbe una procedura di raccolta molto meno invasiva per il paziente, rispetto alla raccolta del liquido cerebro-spinale.
“La continuità tra conoscenza e cura è il valore che esprime appieno il significato del fare ricerca nei Centri Nemo che, solo per la Sla, li vede impegnati oggi con 34 studi clinici attivi – dichiara Alberto Fontana, presidente dei Centri clinici Nemo – E questo progetto scientifico è l’espressione di come le sinergie tra i gruppi di ricerca sia fondamentale per continuare a conoscere sempre di più patologie come la Sla, per le quali ancora non vi è cura. La multidisciplinarietà anche nell’attività di ricerca non può che contribuire ad avere una visione sempre più chiara delle nostre patologie, per arrivare a ricadute concrete per la comunità dei pazienti neuromuscolari”.
Continuare a comprendere il comportamento del sistema immunitario nella Sla – conclude la nota – rappresenta un obiettivo di ricerca importante, perché potrebbe avere in prospettiva ricadute fondamentali non solo per pensare a biomarcatori specifici per la diagnosi precoce delle diverse forme della Sla, ma anche per pianificare una presa in carico personalizzata, sulla base della storia di malattia di ciascuno.
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