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Tumori: in un gene soluzione paradosso Peto, genetista ‘è il segreto degli elefanti’

27 Settembre 2022

Roma, 27 set. (Adnkronos Salute) – Più vicini a spiegare il ‘paradosso di Peto’, ovvero il fatto che non esista alcun legame tra le dimensioni e la longevità tipici di una specie animale, e il rischio di ammalarsi di cancro. In altre parole un topo o un elefante, pur avendo un numero di cellule molto diverso, hanno lo stesso rischio oncologico. Potrebbe sembrare una anomalia, visto che il cancro è causato da mutazioni genetiche che si accumulano nelle cellule e vivere più a lungo, come gli elefanti, e avere dimensioni elevate sarebbe dovuto essere un elemento di rischio maggiore. Ma non è così. Questa osservazione, fatta per la prima volta dall’epidemiologo britannico Richard Peto alla fine degli anni ’70, è nota appunto come paradosso di Peto. Ora uno studio del National Institute of Health and Medical Research francese, pubblicato su ‘Molecular Biology and Evolution’, approfondisce come le tante copie di un gene (p35) sono uno scudo anti-cancro’.

“E’ uno studio molto interessante – spiega all’Adnkronos Salute il genetista Giuseppe Novelli, già rettore dell’Università Tor Vergata di Roma – I tumori insorgono per un errore nelle divisioni cellulari, quindi più mutazioni avvengono e più c’è il rischio. E’ chiaro che in animali grandi e con trilioni di cellule in più, come l’elefante, rispetto al topo dovremmo avere più tumori e invece non è così. Anzi è il contrario. La risposta, e questo si sapeva, è nel Dna e in un gene specifico (p35) ribattezzato il guardiano del genoma perché appunto interviene dove ci sono i danni da riparare. Gli scienziati hanno capito che negli elefanti ci sono 40 copie di questo gene, mentre nell’uomo sono un paio, e questo determina proprio il paradosso di Peto”.

“Lo studio – rimarca il genetista – conferma anche un altro aspetto oltre a quello sicuramente determinato dalla quantità di copie del gene p35, ovvero che queste copie si ‘svegliano’ e si attivano quando c’è un danno genetico e proteggono dallo stress cellulare. Purtroppo noi non abbiamo queste copie, ma c’è un aspetto che ci interessa – evidenzia Novelli – ed è quello relativo alla longevità. Lo studio osserva come la grande longevità degli elefanti è legata a queste peculiarità genetica e questo dato può aprire una strada anche per l’uomo”.

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