Urologia oncologica, con ‘lavoro di squadra’ cambia la gestione della malattia in 1 caso su 3
Roma, 3 ott. (Adnkronos Salute) – In uro-oncologia il ‘lavoro di squadra’ risulta migliore di quello del singolo specialista, soprattutto nelle prime fasi della malattia. Quando è il team multidisciplinare a valutare il tumore, un caso su 3 cambia tipologia di diagnosi e di trattamento. In Italia sono potenzialmente oltre 28mila le forme di cancro al tratto genito-urinario che potrebbero cambiare e migliorare gestione, con vantaggi sostanziali per il malato e il servizio sanitario nazionale. E’ questo il principale tema al centro del XXXIV Congresso nazionale della Siuro (Società italiana di urologia oncologica) che si apre oggi a Bologna. Per 3 giorni si riuniscono nella città emiliana oltre 500 specialisti che discutono sulle più recenti innovazioni diagnostico-terapeutiche messe a punto nel campo dei tumori uro-oncologici.
“La multidisciplinarietà si deve sempre più spostare nelle fasi precoci delle neoplasie prostatiche, vescicali, testicolari e renali – sottolinea Sergio Bracarda, presidente nazionale Siuro – E’ quanto hanno dimostrato molte evidenze scientifiche emerse negli ultimi congressi di oncologia internazionali. L’assistenza da parte di un team, composto da diversi specialisti, è un consolidato e imprescindibile elemento di qualità nell’inquadramento iniziale e nella valutazione di tutti i tumori urologici. Per anni la gestione delle fasi precoci della patologia è stata patrimonio quasi esclusivo dello specialista d’apparato. Adesso il nuovo approccio prevede già dall’inizio il coinvolgimento di diversi professionisti che insieme possono valutare altre strade, anche multidisciplinari, rispetto al solo intervento valutando di concerto sia la possibilità di guarigione che i possibili effetti collaterali legati alle scelte effettuabili”.
“Esemplare in questo senso è il carcinoma della prostata, la neoplasia maschile più diffusa nel nostro Paese – prosegue Giario Conti, segretario e tesoriere Siuro – Si calcola che il 40% dei nuovi casi è caratterizzato da una bassa o del tutto assente aggressività. Si possono quindi proporre al paziente anche protocolli di sorveglianza attiva o di vigile attesa in alternativa a chirurgia o radioterapia. In altre parole, possiamo limitarci ad un accurato monitoraggio di una neoplasia che risulta localizzata e ai primissimi stadi. Si evitano così trattamenti invasivi che possono essere inutili, e a volte addirittura controproducenti, per il benessere psico-fisico del paziente”.
“La chirurgia radicale o i cicli di radioterapia sono tuttavia cure salvavita e indispensabili per molte forme di tumore – sostiene Alberto Lapini, past president Siuro – Ma nei casi meno gravi non determinano benefici sostanziali, anche se a volte possono determinare effetti collaterali non trascurabili come incontinenza o impotenza. Si tratta di due delle controindicazioni più temute tra i nostri pazienti. La sorveglianza attiva è un’opzione di trattamento che può essere applicata anche ad altre patologie uro-oncologiche. Viene valutata anche nel carcinoma renale e in quello testicolare. Deve essere compito del team multidisciplinare uro-oncologico identificare i pazienti che possono accedere a questi particolari monitoraggi di malattia”.
Ogni anno in Italia si registrano oltre 41mila nuovi casi di tumore della prostata, 29mila alla vescica, 12mila al rene, 2.400 al testicolo e 500 al pene. “Sono tutte forme di cancro che possono essere affrontate integrando le diverse tipologie di cure disponibili – afferma Rolando Maria D’Angelillo, vicepresidente Siuro – La radioterapia, per esempio, viene di solito utilizzata da sola o in combinazione con altre terapie in un paziente su 4 colpito da cancro della prostata. La combinazione dei trattamenti comporta spesso un incremento in termini di sopravvivenza e guarigione. E’ stato dimostrato che con la gestione del team uro-oncologico nel 25% dei casi viene raccomandato un trattamento multimodale”.
La multidisciplinarietà può infine “favorire anche la partecipazione decisionale del paziente e dei suoi caregiver al percorso di cura – conclude Bracarda – I nostri team devono coinvolgere specialisti di diverse discipline come anatomopatologi, medici nucleari, radiologi, geriatri e farmacologi, oltre agli urologi, oncologi medici e radioterapisti. Anche se prevista in quasi tutti i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta), la gestione collegiale dei tumori urologici non sempre viene garantita sull’intero territorio nazionale. La nostra società scientifica da 34 anni promuove in tutta Italia la cultura della multidisciplinarietà nel trattamento delle patologie uro-oncologiche. E’ un approccio ormai divenuto indispensabile, soprattutto considerando la grande evoluzione dei trattamenti registrata negli ultimi anni”.
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