Don’t Cry, Usa
Le “occidentali” lacrime di Biden sono segno di umanità. Ma la strategia non può essere schiava delle emozioni.

Don’t Cry, Usa
Le “occidentali” lacrime di Biden sono segno di umanità. Ma la strategia non può essere schiava delle emozioni.
Don’t Cry, Usa
Le “occidentali” lacrime di Biden sono segno di umanità. Ma la strategia non può essere schiava delle emozioni.
Ci si può fermare alla reazione emotiva del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel suo discorso dopo il terrificante attentato di Kabul. Ci si può concentrare su quelle lacrime, giudicandole un segno di debolezza o – modesta opinione di chi scrive – prova di quella diversità e specificità dell’Occidente, di cui abbiamo già scritto in questi giorni.
Il problema non sono le lacrime e i nervi che cedono per qualche secondo (anche perché il coraggio di mostrarli rimarca la differenza fra noi e chi è intriso di ideologia di morte). Cruciale è che la nostra strategia non sia ostaggio delle emozioni.
Cosa fare ora, domani e nei prossimi mesi è l’unico tema sensato all’ordine del giorno. Non ha importanza ripetere all’infinito che si è sbagliato, che i tempi dell’uscita (fuga) dall’Afghanistan sono stati dettati da presupposti errati. La differenza non la farà il rinfacciarsi gli errori, che sono figli di amministrazioni diverse, ma scelte uguali e pienamente appoggiate sino a ieri dall’opinione pubblica. Anche italiana.
La minaccia di Biden – «Ve la faremo pagare» – risponde a un riflesso condizionato degli Stati Uniti d’America, che non possono tollerare di subire perdite senza rispondere sul campo. Il singolo bombardamento, l’isolata azione dei corpi speciali, però, non costituirà la strategia americana e occidentale nella regione.
Cosa vogliamo fare, adesso? Chi sono i nostri nemici (i talebani, l’Isis, entrambi a giorni alterni)? Chi sono i nostri amici o almeno coloro con cui accettiamo di trattare, per contenere la nascita di un emirato terrorista? Sono le domande a cui Biden, ma non solo, deve delle risposte.
Emerge la necessità, in queste ore convulse, di provare a mettere in moto una nuova sede di confronto e di equilibrio, il G20. Una camera di compensazione che ha l’enorme vantaggio di vedere tutti i protagonisti intorno allo stesso tavolo, senza le pastoie diplomatiche che immobilizzano l’Onu.
Non è una garanzia, ma una precondizione importante, così come è significativo il ruolo del presidente del Consiglio Mario Draghi. Senza cadere nella tentazione un po’ provinciale di ingigantire il ruolo dell’Italia, è indiscutibile come il carisma personale dell’ex presidente della Bce sia un asset spendibile su quel tavolo e di riflesso di grande valore per il nostro Paese.
Tornando alle lacrime di Biden, la politica estera non si fa con le emozioni, ma un bravo politico (della nostra parte di mondo) deve ‘leggere’ gli umori in patria, pena trovarsi scoperto quando il gioco si fa duro. Dal lontano Vietnam alle recenti vicende irachene e afghane, gli esempi e i moniti si sprecano.
di Fulvio Giuliani
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