L’anno che ci ha lasciato solo la speranza
Nel finire il 2025, vorremmo tanto iniziare il 2026 sentendo sul volto il vento dell’ottimismo. Senza passare per illusi
L’anno che ci ha lasciato solo la speranza
Nel finire il 2025, vorremmo tanto iniziare il 2026 sentendo sul volto il vento dell’ottimismo. Senza passare per illusi
L’anno che ci ha lasciato solo la speranza
Nel finire il 2025, vorremmo tanto iniziare il 2026 sentendo sul volto il vento dell’ottimismo. Senza passare per illusi
Ultimo giorno del 2025 e vorremmo tanto poter iniziare l’anno in arrivo sentendo sul volto il vento dell’ottimismo.
La speranza, sia chiaro, non manca mai e ne parlavamo giusto negli ultimi giorni commentando le trattative che sembrano sempre sul punto di dare un segnale positivo fra Ucraina e Russia – con la mediazione di Usa ed Europa – e poi puntualmente si inceppano, si bloccano. Tornano alla casella del via a cui abbiamo dedicato la nostra riflessione di ieri, spinte dall’intransigenza di Vladimir Putin.
Le basi lasciate nel 2025
Vorremmo poter essere più ottimisti, oltre che speranzosi, ma non ci va di passare per illusi. L’anno che ci apprestiamo ad abbandonare sembra aver fatto di tutto per porre le basi di una prosecuzione in linea con gli ultimi mesi del 2025.
Con questo Stop and Go difficilissimo da maneggiare, senza perdere l’entusiasmo necessario a non mollare mai.
Ci riferiamo alla guerra in Ucraina, ovvio, ma non solo.
Perché se l’anno che va a tramontare è riuscito a segnare il fondamentale punto fermo del cessate il fuoco, anche nella Striscia di Gaza e nella sempre troppo dimenticata Cisgiordania la sensazione è che si sia messo mano solo agli aspetti più cruenti e insopportabili della tragedia. Quella davanti alla quale tutti siamo stati costretti a guardarci allo specchio.
Quello specchio davanti al quale tanti rifiutano di porsi quando si parla di Ucraina
Quello specchio davanti al quale – quante volte lo abbiamo sottolineato – tanti rifiutano di porsi quando si parla di Ucraina. Non c’è niente da fare: a quasi quattro anni dall’inizio dell’aggressione dello zar, non si è generata una reale ondata emotiva in favore degli ucraini invasi, bombardati, vessati, ridotti al freddo e al gelo. Ammazzati nelle proprie case dai missili, dai colpi di cannone e dai droni di un’armata resa idrofoba dal ritrovarsi impantanata in una guerra novecentesca in un fazzoletto di Europa.
Chiudiamo l’anno con la certezza – non più la sensazione dopo tanti mesi e tante prove – che quelle masse che si diedero appuntamento ripetutamente in piazza per chiedere la fine della mattanza nella Striscia non riescano a vedersi neanche per un aperitivo se si tratta di Ucraina.
Questa è una sconfitta, una sconfitta grave. Ed è una vittoria della propaganda del Cremlino, anche la più becera, e delle sue volenterose orecchie qui da noi.
A molti dei distratti, in particolar modo i più giovani, suggeriremmo di dare un’occhiata alle prove di coraggio quotidiane dei loro coetanei in Iran che vorrebbero semplicemente poter vivere come loro e non nell’incubo di essere arrestati, malmenati o peggio per un velo non indossato o indossato male o ancora perché desiderano semplicemente essere dei ragazzi. Loro non mollano, rischiano la pelle, perché nulla vale come la libertà e alla libertà vogliamo dedicare il 2026.
Buon anno!
di Fulvio Giuliani
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