Aiuti all’Ucraina, c’è chi tentenna
Aiuti all’Ucraina, c’è chi tentenna
Aiuti all’Ucraina, c’è chi tentenna
L’ultimo e più clamoroso caso è stato quello del premier polacco Mateusz Morawiecki. Atteso dalle elezioni di ottobre e stretto nella morsa del proprio elettorato di riferimento – agricoltori su tutti – spaventati dal crollo del prezzo del grano per l’afflusso incontrollato di quello ucraino, ha annunciato ‘di pancia’ l’interruzione degli aiuti militari a Kiev. Calcoli elettorali e paura della sconfitta sono all’origine di una presa di posizione scomposta, che ha costretto il presidente polacco Duda a una precipitosa e irrituale ‘invasione di campo’ con tanto di precisazione delle parole del premier. Una realtà – approfondita ieri nell’articolo di Massimiliano Lenzi – che si affianca ai tentativi della minoranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti e al Senato di mettere in difficoltà il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, provando invano a ostacolare la concessione di nuovi aiuti economici e soprattutto militari all’Ucraina. Ancora una volta la tattica elettorale ha il sopravvento sui più alti interessi geostrategici.
In Italia i due governi che hanno dovuto affrontare l’aggressione russa all’Ucraina non hanno mostrato il minimo segno di cedimento, anzi: lo sconvolgimento globale figlio della guerra ha molto rafforzato la sostanza e l’immagine del posizionamento atlantista e occidentale del Paese. Altra storia sono le consistenti parti di pubblica opinione italiana che per un insieme di motivi non hanno mai appoggiato la causa ucraina o stanno perdendo slancio e convinzione. Un grumo composito e mai sopito di antiamericanismo e antiatlantismo, di ribellismo fine a sé stesso, di egocentrismo capace di ignorare gli interessi italiani. C’è un po’ di tutto, in un fronte che ha trovato sfogo perlopiù in televisione e sui social. Torneremo sul punto, perché l’Italia potrebbe essere un ottimo esempio per partner e alleati.
Prima è opportuno ricordare che quanto sta accadendo in Europa e negli Stati Uniti non è inedito. L’indifferenza e il cinismo di chi – dalla Vistola al Potomac – sembra pronto ad abbandonare gli ucraini al proprio destino, è la riedizione delle tante volte in cui le opinioni pubbliche hanno voltato le spalle alle vittime e agli aggrediti. Il momento più tragico della storia europea origina anche dal terrore dei popoli di prendere atto dell’impossibilità di costruire una qualsiasi forma di convivenza con il mostro nazista. Oggi ci sembra ovvio, ma per anni l’Europa che stava scivolando verso la Seconda guerra mondiale concesse al dittatore tedesco di sottomettere milioni di persone senza muovere un muscolo facciale. Persino davanti all’aggressione alla Polonia, che aprì il conflitto, in molti avrebbero lasciato fare. “Morire per Danzica?” non era soltanto un efficacissimo titolo dei giornali dell’epoca. Finché le illusioni crollarono, Francia e Gran Bretagna furono costrette a guardare in faccia il fallimento della loro politica di appeasement (le graduali concessioni, pur di tener buono il lupo ed evitare la guerra) e a ritrovare la dolorosissima via dell’onore con la dichiarazione di guerra alla Germania nazista.
Toccò ai leader di allora riparare a errori drammatici e in questo la Storia è destinata a ripetersi: i leader di oggi sono chiamati a comprendere la portata del rischio e di subordinare qualsiasi altra considerazione alla difesa della democrazia e della libertà. Compresi i propri destini elettorali. Non è una missione per donne e uomini dagli orizzonti limitati e dal coraggio altalenante.
Scrivevamo dell’Italia e di quella consistente quota di pubblica opinione stanca – nella migliore delle ipotesi – della guerra e del sostegno all’Ucraina. La tenuta del governo (dei governi) è un esempio della possibilità di rispettare gli interessi strategici del Paese, anteponendoli alle convenienze elettorali del momento o anche agli equilibri interni delle coalizioni di governo. Una delle più grandi sfide per le democrazie. Perché arriva sempre il momento in cui decidere se farsi protagonisti della cronaca o della Storia.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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