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Al via i colloqui di Istanbul tra Russia e Ucraina: lo spettro (concretissimo) del nulla di fatto

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Si preannuncia come un nulla di fatto il nuovo round negoziale tra Russia e Ucraina previsto oggi a Istanbul. La storicità dell’evento (è la prima volta dal 2022 che Kiev e Mosca si incontrano) da sola non basta

Al via i colloqui di Istanbul tra Russia e Ucraina: lo spettro (concretissimo) del nulla di fatto

Si preannuncia come un nulla di fatto il nuovo round negoziale tra Russia e Ucraina previsto oggi a Istanbul. La storicità dell’evento (è la prima volta dal 2022 che Kiev e Mosca si incontrano) da sola non basta

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Al via i colloqui di Istanbul tra Russia e Ucraina: lo spettro (concretissimo) del nulla di fatto

Si preannuncia come un nulla di fatto il nuovo round negoziale tra Russia e Ucraina previsto oggi a Istanbul. La storicità dell’evento (è la prima volta dal 2022 che Kiev e Mosca si incontrano) da sola non basta

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ORE 10:10 – È iniziato il primo degli incontri in programma oggi a Istanbul: si tratta del trilaterale Ucraina-Turchia-Usa. I padroni di casa turchi, insieme agli statunitensi, si propongono come mediatori in due tavoli, prima con gli aggrediti e poi con gli aggressori. Nelle file americane c’è stata un’altra defezione di livello: il segretario di Stato Marco Rubio, che si trova comunque nella città sul Bosforo, ha dato forfait all’ultimo minuto, seppellendo definitivamente qualunque speranza di cavare qualcosa da questi negoziati.

Preoccupata la Santa Sede che, messo da parte l’atteggiamento democristiano di totale equilibrio che ha caratterizzato il pontificato di Francesco, si schiera ora (nei fatti) dalla parte ucraina. Papa Leone XIV, dopo aver “dimenticato” di citare i russi nel suo primo Regina Coeli, ieri ha incontrato l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv. A lui ha espresso vicinanza e negli ambienti vaticani si mormora che, dopo la trasferta a Nicea per il 1700esimo anniversario del Concilio, il successivo viaggio apostolico del nuovo Pontefice potrebbe portarlo proprio a Kyiv. Lì dove Francesco non era mai stato disposto ad andare. Stamane il segretario di Stato, Pietro Parolin, ha però commentato la situazione di Istanbul. Nelle sue parole di scafato diplomatico è riassunto un certo senso di rassegnazione: «L’esito del negoziato appare tragico, siamo tornati al punto di partenza».

ORE 7:30 – Si preannuncia come un nulla di fatto il nuovo round negoziale tra Russia e Ucraina previsto oggi a Istanbul. La storicità dell’evento (è la prima volta, dopo i falliti colloqui del 2022, che Kiev e Mosca fanno incontrare i rispettivi funzionari) da sola non basta.

La delegazione del Cremlino, guidata dal consigliere presidenziale Vladimir Medinsky, si dice fiduciosa di poter raggiungere un qualche tipo di compromesso. Ma l’interesse di Vladimir Putin sembra pari a zero, e lo dimostra il basso livello di rappresentanza dei suoi inviati (nemmeno un funzionario di vertice, nemmeno un viceministro). Dall’altra parte del tavolo, l’Ucraina ci credeva. Il presidente Volodymyr Zelensky era volato ad Ankara dall’omologo Erdogan, sfidando Putin a presenziare a un colloquio faccia a faccia. L’inquilino del Cremlino ha declinato l’invito, che lo avrebbe costretto a impegnarsi seriamente per una pace che non vuole.

Per Kyiv, a dimostrazione dell’impegno e delle aspettative, ci saranno nomi di spicco. Se Zelensky non ha (legittimamente) più interesse a presenziare, a guidare gli ucraini sarà il ministro della difesa Rustem Umerov. Non esattamente un oscuro burocrate senza poteri decisionali come il russo Mendinsky.

Quello che Putin sperava di trasformare nel suo incontro della vittoria (lui aveva caldeggiato il bilaterale, sperando di strappare l’assenso di Kyiv alle sue irrealistiche e dittatoriali pretese) si è invece trasformato in una figuraccia internazionale, dopo l’intelligente mossa di Zelensky: invitare lo zar a Istanbul significava costringerlo a uscire allo scoperto con le sue reali intenzioni culla guerra. Putin ha abboccato, e ora si trova in un imbarazzo di rara magnitudo. O almeno, questa è la versione degli ucraini.

Ce n’è un’altra, quella che fino a pochi mesi fa non avremmo nemmeno tenuto in considerazione: la longa manus statunitense. Che il presidente Trump sia più vicino a Putin che a Zelensky è cosa nota (e drammatica). Nelle ultime ore si fa strada un’ipotesi tra il cospirativo e il verosimile: che siano stati gli Usa a consigliare a Putin di abboccare e restare a Mosca, così da far saltare il banco e costringere Kyiv ad affidarsi alle (scellerate) manovre negoziali di Washington? Certo, è un’ipotesi temeraria. Eppure le parole di Trump delle ultime ore («Non sono deluso dalla composizione della delegazione russa. La pace? Non succederà nulla finché io e Putin non ci incontreremo») sembrano rendere tutto più verosimile.

Di Umberto Cascone

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