America Latina: il caro benzina infiamma le lotte indigene
America Latina: il caro benzina infiamma le lotte indigene
America Latina: il caro benzina infiamma le lotte indigene
Oramai lo abbiamo capito. Tra pandemia e rigurgiti di una crisi finanziaria che viene sempre più da lontano, ogni battito d’artiglieria russo in Ucraina provoca un ulteriore aumento dei prezzi fino all’altra parte del mondo. E quando l’onda dei rincari sulle benzine giunge in America Latina l’aumento dei costi arriva al doppio, visto che sulle montagne andine e nelle impenetrabili selve amazzoniche le merci viaggiano quasi tutte su strada, su piccole unità e senza nessuna economia di scala.
Da queste parti i catalizzatori del malcontento sono soprattutto gli indigeni. Non solo perché come in ogni crisi economica gli aumenti colpiscono di più e prima i meno abbienti, ma anche perché i “popoli originari” abitano le zone più ruvide del territorio, ai margini delle città della media borghesia, spesso bianca. E non si pensi a uno sparuto gruppo folcloristico, attore laterale dell’agenda politica locale. Le comunità indigene, numerose e molto diverse tra loro, sono una ricorrente ossatura dei movimenti sociali che agitano i sonni di governi e istituzioni.
Un caso su tutti, il più attuale, è quello dell’Ecuador, Paese in cui – come recita un detto popolare – «se tutti gli indigeni si mettessero d’accordo, prenderebbero il potere in una settimana». Per buona parte di giugno i manifestanti hanno occupato le strade, dalla periferia alla capitale Quito, soprattutto per chiedere al governo di mettere un freno al prezzo delle benzine. Una richiesta più volte emersa negli ultimi anni, qui e in altre capitali della regione, ma sempre complicata da soddisfare: per evitare che fare il pieno sia un salasso occorre in ultima analisi mantenere quelle sovvenzioni pubbliche sul prezzo dei carburanti erogate quando le finanze erano, o si volevano vedere, più rigogliose. Ma vallo a spiegare al Fondo monetario internazionale, ora che gli si chiedono i soldi per navigare nella bufera economica in cui siamo.
E c’è di più. Quella indigena non è solo la rivendicazione di un’identità culturale ma anche lo specchio – non predominante ma diffuso – di un sentimento anti europeo e anti occidentale. Un sentimento che è ora benzina dei socialismi locali in eterno derby con l’imperialismo yankee, ora icona della lotta contro i governi ‘voluti’ dai più ricchi. In questo senso, per diversi analisti locali le proteste vanno oltre il semplice ritocco del prezzo alla pompa, ma sono anche un test per la tenuta dell’architettura regionale. Ed è anche per questo che, a ogni nuovo battito d’artiglieria da Mosca, ci si chiede se sull’America Latina soffi più forte il vento degli Usa o di uno a scelta tra Russia e Cina.
di Raffaele Bertini
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