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Difesa è industria comune, parla Andrea Margelletti

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Andrea Margelletti, presidente del CeSI e consigliere dal 2012 per le Politiche di sicurezza e di contrasto al terrorismo del ministro della Difesa

Andrea Margelletti

Difesa è industria comune, parla Andrea Margelletti

Andrea Margelletti, presidente del CeSI e consigliere dal 2012 per le Politiche di sicurezza e di contrasto al terrorismo del ministro della Difesa

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Difesa è industria comune, parla Andrea Margelletti

Andrea Margelletti, presidente del CeSI e consigliere dal 2012 per le Politiche di sicurezza e di contrasto al terrorismo del ministro della Difesa

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Giorni dopo l’attentato al Crocus City Hall di Mosca rivendicato dall’Isis, Putin non si rassegna ad abbandonare la pista ucraina a cui attribuisce responsabilità se non altro parziali e indirette per rinvigorire la propaganda interna: «C’è una bella differenza tra pensare l’attacco progettato dentro capanne tagike oppure attribuirne la paternità alla filiera ucraino-americana» ci dice Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) e consigliere dal 2012 per le Politiche di sicurezza e di contrasto al terrorismo del ministro della Difesa.

Quanto al duty to warn dell’intelligence americana (avvenuto alcuni giorni prima dell’attacco e rimasto inascoltato), Margelletti ammonisce sulla tentazione di leggere i fatti secondo immaginari blockbuster: «Il dovere di allerta che la Cia ha esercitato contro un comune nemico – il terrorismo – è un fatto molto tecnico. I russi avranno pensato di trovarsi di fronte a una minaccia poco attendibile». D’altra parte, «il dittatore non ha tempo di occuparsi di tutto, potrebbe non averlo mai saputo». Ma al netto dell’attualità – la cui lettura, dice l’analista, potrebbe essere fuorviante senza la profondità della storia – «l’Occidente e l’Europa si scoprono estremamente deboli di fronte alla proposta putiniana: noi abbiamo un nemico ma non abbiamo una visione e, si sa, individuare un nemico permette alle classi dirigenti, al contempo, di aggregare e di fare appello allo scontro ideologico per agire in fretta, operare scelte veloci, spesso schiacciate sul presente».

Ma per quanto in fretta vogliano agire, le democrazie – «Sistemi imperfetti per eccellenza ma i migliori che abbiamo» – sono appesantite da processi decisionali per definizione lenti, perché sempre alla ricerca di sintesi accettabili. A differenza dei regimi autoritari, che «non hanno fretta e possono fare a meno dell’urgenza, ma dove non c’è ricerca del consenso perché l’opposizione o non esiste (si pensi alla Cina che è una dittatura sistemica con un uomo al comando indicato da un gruppo che ha una strategia di lungo termine) oppure, se esiste (come in Russia), viene eliminata o silenziata».

Il recente Consiglio europeo ha valutato l’ipotesi di confiscare miliardi di euro di interessi su asset e fondi russi congelati dall’inizio del conflitto. Ma se fosse realistica, perché non realizzarla prima? Secondo Margelletti la risposta è tutta nella prudenza che ispira qualsiasi dialettica che investe il gigantesco tema degli interessi in gioco – «Quando si sente dire che “Noi non siamo contro la Russia ma contro Putin” è perché ovviamente i russi hanno i loro avvocati in Europa» – e che sopravvivranno alla guerra più sanguinaria.

Lo scenario per l’Europa è questo: «Noi entreremo in guerra: innanzitutto perché non siamo più certi dell’appoggio incondizionato degli Usa; poi per evitare che i soldati russi vengano a casa nostra. Percependola come ipotesi imminente, in tal senso già si stanno organizzando Paesi come Francia, Germania, Polonia e altri si preparano a questo scenario». Come? «Parlare di esercito europeo sarebbe una truffa: le Forze armate sono figlie di una governance che in Europa ancora manca». Piuttosto, per Margelletti «sarà determinante l’industria della difesa: l’Italia dev’essere capofila nel percorso di individuazione di un commissario Ue alla Difesa».

di Ilaria Donatio

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