Azovstal, ultimo atto
Azovstal, ultimo atto
Azovstal, ultimo atto
Dopo quasi tre mesi di combattimenti, le acciaierie del complesso Azovstal di Mariupol si accingono a cadere nelle mani dei russi che, così, entrano in controllo completo della principale città portuale sul Mare d’Azov e del punto fondamentale per il corridoio terrestre tra Russia e Crimea. Dopo Kherson, il Cremlino aggiunge Mariupol alla lista degli obbiettivi raggiunti di quella che doveva essere una guerra di 4 giorni e di cui, oggi, non si vede ancora la fine. Azovstal è stato, sinora, il simbolo più potente e controverso della resistenza ucraina: una vecchia cattedrale d’acciaio tra le rovine di una città dilaniata dalle bombe; il rifugio di civili e combattenti che hanno dovuto affrontare il fuoco del nemico, la fame e la sete; il bastione del reggimento Azov, eroi per Kiev, mostri per Mosca.
La caduta dell’Azovstal è stata frutto di un compromesso basato sull’attrito e sullo sfiancamento. I russi erano stanchi di vagare in quel labirinto di cunicoli, tubi e lamiere; gli ucraini erano stanchi di restare intrappolati come topi, senza munizioni, acqua e cibo e privi della speranza di una missione di soccorso. Ecco, dunque, giungere un accordo il cui pilastro sono la debolezza e la necessità di salvare il salvabile. Kiev prova a salvare civili e combattenti del reggimento Azov, da esibire come eroi per mantenere alto il morale delle truppe e della nazione. Per poter far raccontare i giorni oscuri dell’assedio ed esaltare l’orgoglio patriottico e la voglia di continuare a combattere. Al contrario, Mosca aveva bisogno di chiudere definitivamente la pagina di Mariupol, porre la propria bandiera (o quella separatista) sulle acciaierie e concentrare tutto lo sforzo sul fronte del Donbass, verso la battaglia finale. In questo modo l’Azovstal può essere data in pasto al fronte interno e addolcire la pillola amarissima del ritiro da Kiev e del ritiro da Kharkiv.
Dal punto di vista tattico, la caduta dell’Azovstal non cambia l’economia della guerra. Non è un’acquisizione decisiva per controllare il territorio o per modificare gli equilibri sul campo. Il suo valore è simbolico. Tuttavia, l’accordo sull’evacuazione ne diminuisce molto il peso propagandistico e psicologico. I russi volevano mostrare al mondo i combattenti neonazisti (vera mania di regime) e quelli stranieri e, forse, parzialmente riusciranno a farlo, visto che gli sfollati dell’Azovstal vengono diretti a strutture in territorio controllato dai russi prima di essere scambiati con prigionieri russi detenuti dagli ucraini. Tuttavia, senza una fiera battaglia e una resa delle armi non è la stessa cosa.
Adesso si apre una nuova pagina della guerra. Con la fine dell’epopea dell’Azovstal, alla narrativa bellica di entrambe le parti in conflitto servirà un nuovo bastione, una nuova cattedrale, un nuovo rifugio che concentri l’attenzione visiva ed emozionale del pubblico e dei popoli. Gli ucraini devono impedire a tutti i costi che la guerra si normalizzi e si sciolga nella quotidianità degli elettori occidentali, soppiantata in importanza da altre problematiche. Viceversa il Cremlino spera che questo avvenga, per annacquare il consenso intorno alla causa ucraina e ingrigire e congelare il conflitto nella speranza di ottenere qualcosa che diluisca i fallimenti.
di Marco Di LiddoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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