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Bollettino del quinto giorno della guerra fra Israele e Iran. Troppo tardi per arrendersi – IL VIDEO

Con l’uccisione – da parte di Israele – di Ali Shadmani, la situazione militare in Iran continua a peggiorare. Nel video, i missili iraniani nel cielo di Tel Aviv

 

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Con la conferma dell’uccisione di Ali Shadmani, nominato capo dei pasdaran appena quattro giorni fa, la situazione militare iraniana continua a peggiorare. Il suo predecessore era stato ucciso il primo giorno di guerra. E ora si aspetta la nomina di un nuovo successore. Mentre all’Iran mancano più di 200 strutture di lancio per missili balistici, grossomodo la metà di quelle che possedeva. Israele ne ha fatto macerie e rottami, similmente all’orgoglio di un regime che si è scoperto incredibilmente fragile e disfunzionale. Una concatenazione di successi che si sta dimostrando irresistibile per l’ego del presidente statunitense Donald Trump. Già passato al plurale maiestatis di chi s’intesta i successi degli amici: «Ora abbiamo il completo e totale controllo dei cieli sopra l’Iran. […] Nessuno lo fa meglio dei buoni e vecchi Stati Uniti d’America».

Israele e l’importanza degli Usa (e di Trump)

«Scusa Donald, noi chi?». Potrebbe essere la risposta più naturale da parte israeliana. Ma Benjamin Netanyahu ha tutto l’interesse a mostrarsi un alleato generoso pronto a blandire ogni infantile protervia del suo ‘fratello maggiore’. Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella campagna di bombardamento dell’Iran vale sicuramente qualsiasi umiliazione o titillamento della vanagloria del tycoon. Unico al mondo con la facoltà di ordinare lo schieramento delle bombe bunker buster GBU-57 MOP. Cioè quelle capaci di colpire il sito di arricchimento iraniano “Installazione Nucleare Shahid Ali Mohammadi”. Ben incassato sotto le montagne di Fordo nella regione centrale di Qom. I quasi mille metri d’altezza del monte Kuh-e Dagh Ghu’i proteggono le sue centrifughe d’arricchimento per l’uranio da sguardi indiscreti. E attacchi che spazzerebbero via qualsiasi altro bunker.

Per distruggere Fordo, e con esso il programma nucleare iraniano, Gerusalemme ha bisogno delle bombe alte come una palazzina. Che Trump tiene gelosamente nei suoi arsenali. Se tuttavia si offrisse allo showman della Casa Bianca una parte da Napoleone fulmineo, i bombardieri statunitensi potrebbero affiancarsi a quelli israeliani. Una prospettiva che prende corpo ogni ora che passa. Con l’avvicinarsi sia della flotta di aerei cisterna partiti dagli Stati Uniti in direzione Oriente, sia della portaerei “USS Nimitz” in direzione identica ma opposta (dall’Oceano Pacifico a quello Indiano). Un dispiegamento che ha fatto rispolverare una vecchia battuta delle Forze armate statunitensi. «È un mondo CENTCOM, noi lo abitiamo soltanto». A testimonianza della perenne centralità di questo comando locale per il Medio Oriente. Che da decenni assorbe la maggior parte del budget militare degli Stati Uniti per l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, Israele e ora l’Iran.

I missili lanciati da Israele e Iran

Un impegno giustificato dalla magmaticità dell’area, come è evidente. Secondo l’emittente “Al Arabiya” dall’inizio di questo conflitto israelo-iraniano, Teheran ha lanciato più di 440 missili. E un numero imprecisato – ma molto alto – di droni kamikaze, uccidendo 24 israeliani e ferendone altri 1.300. Di contro, secondo la ONG Human Rights Activists in Iran (di base a Farifax, Virginia, Stati Uniti), Gerusalemme ha eliminato almeno 585 iraniani. E ferito un altro migliaio. Numeri abbastanza sovrapponibili quantitativamente. Ma non qualitativamente. Gli attacchi iraniani hanno colpito soprattutto civili. Mentre quelli israeliani si sono concentrati nella decapitazione della catena di comando iraniana e nella distruzione di asset militare. Una condotta che ha moltiplicato l’efficacia dell’azione militare di Gerusalemme, come si è visto dalla sempre più ridotta capacità iraniana di combattere questa guerra.

Adesso il regime degli ayatollah vorrebbe ritornare al tavolo delle trattative. Scosso dalla possibilità che la quinta flotta statunitense di stanza nel Bahrain si possa infine unire all’ordalia. Però non ha niente da offrire e persino Trump ne ha chiesto a mezzo social la capitolazione immediata e incondizionata.

di Camillo Bosco

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