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BoJo in disgrazia

Quella di Boris Johnson sembrava una ritirata temporanea. Invece, le scelte politiche delle ultime settimane hanno reso il crollo di BoJo sempre più pesante e inesorabile
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BoJo in disgrazia

Quella di Boris Johnson sembrava una ritirata temporanea. Invece, le scelte politiche delle ultime settimane hanno reso il crollo di BoJo sempre più pesante e inesorabile
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BoJo in disgrazia

Quella di Boris Johnson sembrava una ritirata temporanea. Invece, le scelte politiche delle ultime settimane hanno reso il crollo di BoJo sempre più pesante e inesorabile
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Quella di Boris Johnson sembrava una ritirata temporanea. Invece, le scelte politiche delle ultime settimane hanno reso il crollo di BoJo sempre più pesante e inesorabile
Londra – Quando a luglio Boris Johnson era stato costretto a dimettersi perché travolto dagli scandali, pochi avrebbero scommesso che sarebbe stato messo in disparte una volta per tutte. La sua pareva infatti una ritirata temporanea: Brexit era ancora sacrosanta e l’ala populista, di cui BoJo era il condottiero, prometteva un suo ritorno entro Natale. In effetti i contendenti alla successione non ispiravano fiducia e il flop della Truss giocava a favore dei johnsoniani, che si affrettavano a dichiarare che soltanto l’estroso biondino avrebbe potuto salvare il Paese. Ci credevano però in pochi e BoJo fu accantonato. Toccava a Rishi Sunak, l’uomo che lo aveva pugnalato alle spalle. Stritolato fra populisti, ultraliberisti e altri “-isti” delle fronde Tories, il nuovo primo ministro ha avuto un avvio difficile, impegnato in un groviglio fatto di scandali, scioperi e contenzioso sul protocollo dell’Irlanda del Nord, sul quale si giocavano le sorti di Brexit e della Gran Bretagna. La sua autorità era inoltre minata dagli ex: dalla Truss che tentava un ritorno di fiamma e da BoJo che intrecciava rapporti internazionali come fosse ancora primo ministro. Sunak abbozzava, ribadiva la narrativa anti-Ue ma dietro le quinte preparava il colpo di mano. Che tirasse una brutta aria per i johnsoniani lo si era capito da alcune settimane, quando erano circolate voci su una imminente risoluzione del protocollo, l’ultimo filo che legava il Regno Unito all’Unione europea. Se fosse stato stracciato, avrebbe vinto la Brexit dura; un accordo, al contrario, avrebbe distrutto il progetto. Johnson riuniva la fronda e l’ex ministro degli interni Priti Patel twittava: «Stanno distruggendo il sogno di Brexit e ci resta poco tempo per far sì che non scompaia». A conferma dei timori, il 27 febbraio Sunak è apparso accanto alla von der Leyen e ha annunciato la creazione del framework di Westminster, con il quale ha disinnescato la bomba. Vinceva così la Brexit “morbida” e si approssimava la fine di BoJo. Ci si aspettava a quel punto che quest’ultimo avrebbe preparato una rivolta, invece non è avvenuto nulla di tutto ciò: perfino tra i fedelissimi il suo consenso ora vacilla. Per di più il 20 marzo dovrà presentarsi davanti alla commissione parlamentare in merito al rapporto sul partygate di Sue Gray, dal quale emerge che all’epoca dei festini aveva mentito al Parlamento. Perfino la mossa di attaccare la stessa Gray per aver accettato di diventare la chief of staff del leader laburista Keir Starmer, si è rivelata un boomerang. Anche in casa Tory la manovra è stata interpretata come un tentativo di affossare l’inchiesta. In molti equiparano Johnson a Trump, ma non è certo una novità che entrambi siano fatti della stessa pasta. Tra il 2016 e il 2020 formavano un asse mirato a indebolire l’Unione europea, un obiettivo che piaceva molto anche a Putin. L’elezione di Biden ha guastato loro la festa. Quando nel 2019 BoJo ha firmato il protocollo sull’Irlanda del Nord contava infatti sulla compiacenza di Trump in caso di violazione e aspirava a un accordo commerciale con gli Stati Uniti per favorire l’economia. La Brexit dipendeva da entrambi questi fattori ma con Biden (che non era intenzionato a chiudere un occhio sulla violazione del protocollo) le due cose sono divenute incompatibili. Di Alessandra Libutti

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