C’era una volta Visegrad
Il primo ministro Viktor Orbán è stato nuovamente rieletto in Ungheria con il 53% dei voti, ma le destre nel resto d’Europa sono già cambiate.
| Esteri
C’era una volta Visegrad
Il primo ministro Viktor Orbán è stato nuovamente rieletto in Ungheria con il 53% dei voti, ma le destre nel resto d’Europa sono già cambiate.
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C’era una volta Visegrad
Il primo ministro Viktor Orbán è stato nuovamente rieletto in Ungheria con il 53% dei voti, ma le destre nel resto d’Europa sono già cambiate.
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Il primo ministro Viktor Orbán è stato nuovamente rieletto in Ungheria con il 53% dei voti, ma le destre nel resto d’Europa sono già cambiate.
Così è la democrazia. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha vinto le elezioni di domenica scorsa con oltre il 53% dei voti, assicurandosi la maggioranza assoluta dei seggi e restando in carica per il suo quarto mandato. Comunque la si pensi su Orbán e le sue politiche, questo è il risultato della democrazia.
Mentre gli analisti cominciano a sezionare l’esito del voto in Ungheria, alla ricerca delle ragioni della sua ennesima vittoria, quel che bisogna sottolineare però è il fatto che l’invasione russa dell’Ucraina in queste settimane ha cambiato tutto. Quella che era la linea dei cosiddetti Paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) – un modo per indicare il fronte comune e populista dentro l’Unione europea che arrivava da Est – si è sciolta come neve al sole e oggi, mentre Orbán pare aver scelto la politica della neutralità nel criticare l’aggressione di Putin all’Ucraina, il vice primo ministro polacco, Jaroslav Kaczynski, ha fatto sapere che Varsavia è invece disposta a ospitare armi nucleari sul proprio territorio nel caso gli americani lo chiedessero.
Da una parte Budapest, dall’altra Varsavia. Che la divaricazione politica dentro quello che fu l’asse strategico di Visegrad sia sempre più profonda ce lo dicono, oltre a questa radicale differenza di vedute sulle responsabilità della guerra, anche altre notizie e non certo laterali. La prima di queste è che il presidente russo Putin si è subito premurato ieri di far arrivare a Orbán un suo telegramma di felicitazioni per la vittoria politica, scrivendogli tra l’altro che esprime «la sua fiducia che nonostante la difficile situazione internazionale lo sviluppo della partnership bilaterale possa proseguire e rafforzarsi nell’interesse dei popoli ungherese e russo». Mentre il telegramma di Putin veniva recapitato al premier ungherese, contro quest’ultimo si levavano invece voci critiche in seno all’Unione europea. Tra tutte spiccava quella di Guy Verhofstadt, europarlamentare belga ed ex premier: «L’odio prevale sulla speranza in elezioni libere ma ingiuste. Una giornata buia per la democrazia liberale, per l’Ungheria e l’Ue, in un momento pericoloso». Più delle parole di Verhofstadt, a dare la fotografia della solitudine ungherese in Ue è però ancora una volta il gruppo di Visegrad con due Paesi, Polonia e Repubblica Ceca. A metà marzo infatti i leader di tre Paesi europei sono andati a Kiev. Questi erano i premier della Repubblica Ceca Petr Fiala, della Polonia Mateusz Morawiecki e della Slovenia Janez Janša. Scopo della visita: confermare il sostegno dell’intera Unione europea alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina.
Tutto è cambiato, insomma, tranne che a Budapest. Lo si capisce pure spostandosi da Est a Ovest nell’Ue. Si vede così che anche le destre italiane di oggi appaiono divise rispetto al populismo che fu. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha scelto una linea nettamente occidentale e in difesa dell’Ucraina rispetto alla guerra in corso. Una scelta importante. Un altro segnale del cambiamento in atto. Sì, Orbán ha vinto ancora, ma attorno a lui, fuori dall’Ungheria, le destre populiste e il mondo sono già cambiati.
di Massimiliano Lenzi
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