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Confini

Confini

Non è solo un problema di confini, ma di fini, di finalità dell’Unione e dei popoli che la abitano
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Non è solo un problema di confini, ma di fini, di finalità dell’Unione e dei popoli che la abitano
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Non è solo un problema di confini, ma di fini, di finalità dell’Unione e dei popoli che la abitano

Le chiacchiere estive qualche buona novità l’hanno pur prodotta. Le opinioni espresse dai presidenti delle Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto – Fedriga e Zaia, entrambi leghisti – ma anche dal capo di quel partito e vice presidente del Consiglio, Salvini, introducono nel loro linguaggio una distinzione che è sempre stata presente nel diritto, ma che si faceva fatica a far valere, subissati da polemiche inutili. Rileggiamo le parole di Massimiliano Fedriga, ultime in ordine di tempo: «Dobbiamo dare delle risposte a chi scappa da una guerra, e quindi ha diritto allo status di rifugiato, però non possiamo pensare che chiunque possa andare dappertutto». Giusto. Il problema, quindi, non è chiudere o aprire, ma distinguere. Chi lo fa e come?

L’altro pezzo delle polemiche inutili è relativo alla presunta inerzia delle autorità dell’Unione europea, con annessa accusa di averci abbandonati a noi stessi. È falso. Intanto perché i governi cambiano, ma si tratta sempre del governo della Repubblica italiana e più di uno preferì barattare il farsi carico dell’immigrazione con l’ottenere la masochistica ‘elasticità’ sui conti. Poi, siccome non si è stati capaci di gestire i flussi, si è praticata la furbata di lasciarli andare in altri Paesi Ue, dove erano fin dall’inizio diretti. Da qui le rimostranze di altri. La Commissione propone da tre anni una modifica dell’intero meccanismo, se non la si è fatta è perché contrari sono alcuni Stati nazionali (in testa quelli che la destra italiana si era scelti come alleati).

Nelle more, però, 450 funzionari (Frontex, Europol e Agenzia per l’asilo) sono stati spostati in Italia a supporto di identificazioni e gestione, accompagnati dal 2015 da 2 miliardi di contributi. E quando il governo Meloni ha chiesto appoggio per il negoziato con la Tunisia si è mossa direttamente la presidente della Commissione, accompagnata dal (presunto ostile) capo del governo olandese. Si tenga presente quel che nel dibattito italiano sfugge: non esiste solo la frontiera mediterranea – che ha la terribile caratteristica d’essere la più pericolosa, quella dove si muore – perché dall’inizio di quest’anno gli ingressi irregolari in Ue sono stati 176mila, di cui 90mila dal mare.

Torniamo alle parole di Fedriga, considerando che chi fugge da guerre o persecuzioni arriva sempre in modo irregolare. Una ragazzina italiana scappava con il padre, perseguitati in Italia, ma arrivati alla frontiera svizzera furono respinti perché irregolari. Era Liliana Segre. Una vergogna italiana, ma non una bella pagina per la Svizzera. Dunque: chi distingue, chi svolge il difficilissimo compito di scegliere? Sarebbe saggio mettere l’intera materia nelle mani dell’Ue. Perché riguarda tutti e perché nessuna delle nostre legislazioni e organizzazioni nazionali è in grado di fare fronte al problema. Ma questo comporta volere più e non meno Europa.

Non è solo un problema di confini, ma di fini, di finalità dell’Unione e dei popoli che la abitano. E sarebbe stolto non ragionare sull’assurda condizione che si è creata: gli antipatizzanti dell’Ue non fanno che contestare l’Unione per quello che non è, al tempo stesso rendendole impossibile divenire quel di più che serve; mentre quanti si dicono europeisti non fanno che criticare quel che c’è, incapaci di conquistare quel che manca. Non ha senso. In questo modo non si va da nessuna parte, con gli uni che considerano l’Ue troppo potente e gli altri che la considerano impotente. Politica vorrebbe che la si piantasse con i proclami e si fosse capaci di affrontare la concretezza delle questioni.

Per i confini: la normale amministrazione è nazionale, la dogana italiana resta italiana; per l’immigrazione i confini esterni siano confini Ue, con amministrazione e giurisdizione Ue. Poi si discute e si litiga sulle misure, ma ha un senso se si concorda sugli strumenti. Facendo attenzione al fatto che non riconoscere e accogliere i profughi non è un torto fatto a loro, ma uno sfregio alla nostra civiltà.

di Davide Giacalone

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