Controesodo ucraino
| Esteri
Il controesodo di ucraini che fanno ritorno in madrepatria è davvero consistente ma in altri Paesi non è stata predisposta un’adeguata politica di sostegno alle persone ospitate.

Controesodo ucraino
Il controesodo di ucraini che fanno ritorno in madrepatria è davvero consistente ma in altri Paesi non è stata predisposta un’adeguata politica di sostegno alle persone ospitate.
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Controesodo ucraino
Il controesodo di ucraini che fanno ritorno in madrepatria è davvero consistente ma in altri Paesi non è stata predisposta un’adeguata politica di sostegno alle persone ospitate.
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Chernivci – Al mio arrivo in Ucraina, in dogana c’era un’interminabile coda di automobili. Cinque ore d’attesa per entrare, contro i 20 minuti scarsi necessari per uscire. Il controesodo di ucraini che fanno ritorno in madrepatria è davvero consistente.
Molti mi hanno detto d’esser tornati perché in Ucraina svolgevano lavori altamente qualificati ed erano abituati a un tenore di vita mediamente alto: Nataliya insegnava inglese all’università, Alina giurisprudenza, Andriy aveva un’attività imprenditoriale di discrete dimensioni. Credere che molti approfittino in qualche modo della situazione per emigrare altrove è scorretto. Il rimpatrio prematuro, invece, spesso dipende dalla percezione di una maggior sicurezza e stabilità unita al desiderio di normalità: far studiare la storia ucraina ai figli nella loro lingua, per esempio. Non perdere le proprie radici.
L’attuale direttiva Ue sulla protezione temporanea è inoltre troppo rigida e non rispecchia le esigenze che vengono a crearsi nella realtà di chi fugge dalla guerra. Il ricongiungimento familiare è generalmente concesso dal Paese ospitante solo entro i primi 90 giorni: non tiene conto del fatto che il rifugiato ucraino ha lasciato territori dilaniati dalla guerra in cui ha perso tutto in pochi attimi. Contrariamente all’esule russo, che sfugge ai doveri imposti dalla coscrizione o rifiuta il metodo criminale di un regime, l’esule ucraino si trova costretto a trovare un riparo temporaneo per ciò che resta della propria famiglia. Accade sovente che alcuni familiari creduti morti vengano ritrovati vivi dopo quel termine di 90 giorni, oppure che, in preda al caos, alcuni membri di una stessa famiglia siano transitati per dogane e Stati diversi.
In molti Paesi non è stata predisposta un’adeguata politica di sostegno alle persone ospitate, a cui dovrebbe essere riconosciuto lo status di rifugiati. Laddove previsti, i sussidi Ue sono limitati ai primi 2 mesi, entro i quali è possibile trovare un impiego che consenta con ulteriori entrate una qualità di vita dignitosa. Negli Usa, invece, l’iter di autorizzazione al lavoro richiede da 5 a 7 mesi, nei quali il rifugiato non ha di che sostenere la propria permanenza. Il Canada ha predisposto un sistema di concessione dei visti molto efficiente, strutturato per consentire l’inserimento in un programma d’avviamento al lavoro. Investire in politiche a sostegno dell’integrazione economica e sociale è doveroso a livello umano quanto conveniente per il Paese ospitante, che beneficia di forza lavoro e competenze aggiuntive nonché di nuove connessioni in grado d’incrementare il commercio con l’estero.
C’è poi da considerare l’aspetto, forse poco percepito altrove, legato all’amore viscerale degli ucraini per la propria terra, venerata davvero come una madre. Ho parlato con molti veterani dell’esercito, che hanno abbandonato impieghi ben avviati all’estero per unirsi al contingente militare ucraino. Tanti mi hanno riferito una sensazione di maggior controllo della situazione percepita stando in Ucraina, rispetto al disagio dato dal sentirsi in balia degli eventi avvertito da fuori. Non potevo crederci, finché non ho provato io stesso quella strana sensazione.
Di Giorgio Provinciali
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