Ammiraglia affondata in modo imbarazzante
La marina russa perde la sua ammiraglia e buona parte del suo residuo prestigio.
Ammiraglia affondata in modo imbarazzante
La marina russa perde la sua ammiraglia e buona parte del suo residuo prestigio.
Ammiraglia affondata in modo imbarazzante
La marina russa perde la sua ammiraglia e buona parte del suo residuo prestigio.
La marina russa perde la sua ammiraglia e buona parte del suo residuo prestigio.
«Москва? Потонула!» (Mosca? È annegata!): ieri mattina questo bizzarro gioco di parole impazzava sui social media frequentati dagli ucraini, come un colpetto di gomito che si dà tra amici che la sanno lunga. Solo in seguito è stato confermato un riuscito attacco non alla capitale della Federazione Russa bensì nientedimeno che alla nave ammiraglia della flotta del Mar Nero del Cremlino: l’incrociatore missilistico “Mosca”.
Per ironia della sorte, quest’ultimo era stato costruito proprio in un cantiere navale del Paese dei Girasoli, a Mykolaiv, nel lontano 1983. Denominato inizialmente “Slava”, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica fu assegnato alla Russia lasciando invece all’Ucraina una nave gemella, all’epoca in costruzione ma che tuttora giace incompleta nel suo bacino di carenaggio (si sospetta che a marzo sia stata colpita da un bombardamento russo).
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Aggiornata costantemente nelle decadi, “Mosca” era diventata un caposaldo della talassocrazia russa nel Mar Nero e i suoi sistemi balistici – studiati per poter affondare persino le più grandi portaerei americane – fungevano nel presente conflitto da supporto antiaereo, negando gli obiettivi al largo di Odessa e in Crimea all’agguerrita aeronautica di Zelensky. Proprio in una di queste operazioni di contrasto all’aviazione ucraina pare sia nato l’agguato che ha ferito al cuore l’orgoglio navale russo: per cercare di abbattere un drone Bayraktar, la “Mosca” si sarebbe infatti introdotta nella rete tesagli da Kyiv. Attirato nel mezzo di una tempesta notturna, l’incrociatore avrebbe prestato il fianco al nemico per orientarsi in direzione della traiettoria di volo dell’esca, impedendo così al suo radar (limitato alla scansione dei soli 180 gradi frontali) di rilevare i due missili Neptune di fabbricazione ucraina che si stavano avvicinavano a grande velocità tra gli alti flutti del mare procelloso. Due razzi, due colpi a segno.
Normalmente, una nave dalla stazza di circa 10mila tonnellate come questa avrebbe bisogno del doppio di tali attacchi per colare a picco, ma l’obsoleta disciplina navale russa prescrive l’alloggiamento dei mezzi d’arma offensivi sul ponte, esposti ai colpi nemici. L’impatto avrebbe quindi innescato una reazione a catena che ha portato all’incendio della santabarbara. I russi però negano l’attacco ucraino e sostengono che dopo l’incendio degli armamenti a bordo, sviluppatosi per causa ancora da accertare, la nave si sarebbe diretta verso il porto di Sebastopoli, dettaglio che anche gli americani al momento confermano.
Indipendentemente dai dettagli, è sicuro che ormai la nave sia inutilizzabile e se l’intera flotta russa possiede ancora due di questi incrociatori, entrambi non possono più accedere all’area del Mar Nero da quando la Turchia ha invocato la Convenzione di Montreux, chiudendo il Bosforo al passaggio di navi militari. Purtroppo le nubi rendono difficile appurare se, una cinquantina di giorni dopo che i difensori ucraini dell’isola del Serpente l’avevano mandato a farsi fottere, l’incrociatore “Mosca” abbia davvero deciso di accogliere l’invito intraprendendo, come lo chiamerebbe il criminale Putin, “un’operazione speciale sottomarina”.
di Camillo Bosco
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