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assalti russi

Assalti russi spregiudicati

Mosca ottiene dei successi tattici grazie ad assalti spregiudicati, ma al prezzo di perdite colossali tra i russi

 
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«Più passa il tempo, più la situazione peggiora» dichiara un militare al giornalista Arman Soldin della “AFP News Agency”. Il fronte è quello di Vuhledàr e il soldato ucraino, di nome Oleksandr, è probabilmente un membro della 72esima Brigata meccanizzata che sta difendendo la città. Il mortaio della squadra cui è assegnato è puntato sulle posizioni degli “orchi” – l’appellativo prestato dai libri di Tolkien col quale gli ucraini chiamano i loro aggressori – e spara sulle coordinate fornite dai piccoli droni civili che sorvolano le linee nemiche. I russi hanno preso a chiamare questa tattica “isolamento della zona di combattimento”: il fuoco delle artiglierie, guidato giorno e notte da queste telecamere volanti, ha il compito di negare al nemico qualsiasi movimento. Così s’interrompono le catene logistiche e in pochi giorni l’acqua e persino le batterie delle radio si esauriscono, obbligando i reparti avanzati alla ritirata col morale a terra.

Per le vie della città passano intanto un Bmp sovietico (cingolato blindato per il trasporto truppe) e un Alvis Stormer britannico (cingolato lanciarazzi armato con missili antiaerei Striker) di rinforzo per la linea di difesa come esempio lampante del sincretismo a cui l’esercito di Kyïv è stato obbligato dall’invasione moscovita. I reparti avanzati della 155esima Brigata dei marines russi sono stati spazzati via nei primi assalti, ma i colleghi della 40esima Brigata separata hanno subito preso il loro posto; dietro di loro aspettano il proprio turno al tritacarne i membri della 136esima Brigata meccanizzata separata della guardia e i fucilieri (alla lettera, visto che pare siano armati con gli antidiluviani fucili Mosin) del 123esimo Reggimento del governo fantoccio di Donec’k. Una marea umana che Oleksandr e i suoi compagni saranno obbligati a mietere affinché possa calare la pressione su questo punto cardine della linea di contatto.

 

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Con le ritirate da Chersòn e Charkìv si era sperato che l’esercito di Mosca avesse esaurito il suo potenziale offensivo, ma la disperazione ha soltanto reso più spregiudicate le sue tattiche. La presa di Soledàr ha dimostrato ai quadri dell’armata russa che la superiorità numerica può ancora giocare un ruolo fondamentale e Gerasimov sta dando corpo alla risolutezza politica del Cremlino con una serie di contrattacchi su quasi tutto il fronte. Se l’offensiva zetista più pericolosa e ambiziosa – quella su Zaporiggia – è già fallita, l’olocausto delle Z truppen nel gennaio appena concluso ha permesso di incrementare le conquiste di Putin di circa 600 chilometri quadrati. Un numero che può sembrare importante, ma che costituisce rispetto a dicembre un aumento di appena lo 0,1% di steppa ucraina occupata dai fascisti russi.

Si tratta quindi di avanzate modeste che devono ancora dimostrare la loro valenza strategica perché – oltre a Vuhledàr – i moscoviti puntano all’accerchiamento di Avdiïvka, Sivers’k e Bachmut. Riescono però a sparare ormai soltanto 15mila proiettili d’artiglieria al giorno (contro i 40mila dei tempi della presa di Lysyčans’k), obbligando così i loro soldati ad assaltare allo scoperto. Fonti del Ministero della Difesa norvegese riportano già più di 180mila soldati russi morti o feriti a fronte di circa 100mila vittime tra le file ucraine; finché Mosca sognerà ancora il ritorno del loro impero questi numeri non potranno che aumentare.

di Camillo Bosco

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