Chi è il giornalista italiano vittima di attacchi cyber russi
La guerra in Ucraina è anche informatica. La testimonianza del giornalista Claudio Locatelli a cui i russi hanno chiuso la pagina Facebook
Chi è il giornalista italiano vittima di attacchi cyber russi
La guerra in Ucraina è anche informatica. La testimonianza del giornalista Claudio Locatelli a cui i russi hanno chiuso la pagina Facebook
Chi è il giornalista italiano vittima di attacchi cyber russi
La guerra in Ucraina è anche informatica. La testimonianza del giornalista Claudio Locatelli a cui i russi hanno chiuso la pagina Facebook
La guerra in Ucraina è anche informatica. La testimonianza del giornalista Claudio Locatelli a cui i russi hanno chiuso la pagina Facebook
“Questa è una guerra, nel vero senso del termine. Quindi ci sono delle forze, delle organizzazioni molto strutturate, per evitare che le persone parlino”, racconta Claudio Locatelli, il giornalista italiano finito nel mirino dei russi. Questa guerra, come ci racconta la sua testimonianza, sfrutta ogni canale per colpire il nemico, di cui evidentemente fa parte anche l’informazione in Occidente.
Locatelli, 34 anni, bergamasco, è un reporter indipendente che racconta la guerra dall’Ucraina – dove si trova attualmente – adottando un format nuovo tutto suo, il più vicino possibile alla realtà. Nella sua pagina riportava in diretta tutto quello che succedeva sul campo, senza filtri. Usiamo il passato perché la sua pagina, pur essendo molto seguita, è stata chiusa. Cancellata da un giorno all’altro insieme a tutto il materiale di un lavoro durato due anni, in cui raccontava tra l’altro anche la guerra in Afghanistan: “Non è il video in sé, le dirette sono perse completamente – spiega – A marzo ero persino riuscito a raggiungere 15 milioni di utenti che avevano visto una mia diretta. È tutto perso, quella rete non esiste più”.
Gli attacchi cyber russi sono cominciati nel 2022: “Ero a Roma quando iniziai a notare diversi tentativi di accesso. Qualcuno stava cercando di prendere il controllo del mio profilo e della mia pagina con i miei documenti di identità”. Grazie ai sistemi di sicurezza di Facebook Locatelli è riuscito a rispondere ai ripetuti attacchi, fino a quando, lo scorso mese, la sua pagina è completamente scomparsa dal web: “Il 10 febbraio i cyber-russi hanno compiuto ripetuti attacchi alla mia pagina sfruttando il blackout di Kiev. Appena è tornata la linea mi sono reso conto che ormai era troppo tardi: avevano preso il controllo della mail e cancellato il mio numero di cellulare. La prima cosa che hanno fatto è stata estromettermi dal controllo della pagina e poi hanno hackerato il profilo, mettendo una bandiera dell’Isis. Pensa che ironia” racconta con un sorriso amaro.
Proprio lui che in passato ha combattuto contro l’Isis nel Rojava come volontario nelle milizie curde, esperienza che gli è valsa l’appellativo di “giornalista combattente”. L’attacco cyber che ha colpito Locatelli è diventato subito importante, tanto che il supporto sia dalla polizia ucraina che dalla Farnesina non si sono fatti attendere. Così come l’aiuto del direttore di Facebook Europa e Medio Oriente che lo ha contattato personalmente: “Le mie informazioni sono cominciate ad apparire su dei server russi”.
Non c’è dubbio che questa sia anche una guerra mediatica dove però si rischia anche la pelle. Lui ci è andato vicino lo scorso dicembre a Kherson. L’incidente nel quale è rimasto ferito è stato poi identificato come crimine di guerra: “Eravamo gli unici sul posto identificati come Press e non c’erano postazioni militari ucraine. Ci trovavamo a circa un chilometro dai russi che ci hanno mirato con 20 colpi. Salvarsi è stata solo fortuna, una casualità se siamo ancora vivi. Se i russi avessero mirato un metro più avanti io sarei morto. Un frammento è entrato nella portiera dell’auto ferendomi lievemente ma se l’angolazione fosse stata diversa mi sarebbe entrato nei polmoni”.
La scomparsa della pagina di Locatelli è stata una perdita importante perché era una delle poche a fornire spunti autentici per altri media. Ecco perché era molto scomodo agli occhi dei russi.
Di Claudia Burgio
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