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Dissanguarsi a Bakhmut

Dissanguarsi a Bakhmut

I bombardamenti a tappeto dell’artiglieria russa sull’ultima sezione della città ancora sotto il controllo ucraino
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I bombardamenti a tappeto dell’artiglieria russa sull’ultima sezione della città ancora sotto il controllo ucraino
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I bombardamenti a tappeto dell’artiglieria russa sull’ultima sezione della città ancora sotto il controllo ucraino
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I bombardamenti a tappeto dell’artiglieria russa sull’ultima sezione della città ancora sotto il controllo ucraino
Una, due, cinque, dieci, venti colonne di fumo si alzano nella parte Ovest di Bachmut. È un bombardamento a tappeto dell’artiglieria russa sull’ultima sezione della città ancora sotto il controllo ucraino. Non serve precisione: la stragrande maggioranza dei civili è stata evacuata da tempo, ma non è questo che preoccupa le artiglierie degli invasori. I russi assaporano invece la vittoria ed è l’ossessione nel conseguire tale risultato a guidare le loro azioni. Sparare il più possibile è quindi la priorità, per poi assaltare anche se significa morire sul posto, a patto che questo permetta a un commilitone di conquistare un altro metro. Nonostante le perdite ingentissime, i soldati di Putin sono infatti a un passo dal prendere l’intera Bachmut. Giorno dopo giorno hanno combattuto fra le rovine di questa fortezza che ha tenuto a bada i loro attacchi per otto mesi. La conquista a gennaio di Soledàr (cittadella mineraria che fungeva da roccaforte sul fianco Nord) ha sancito però, per le difese ucraine, la perdita della via di rifornimento che passava dall’autostrada M03. In quel momento si è temuto che quella di Bachmut divenisse una kesselschlacht, cioè una battaglia di accerchiamento finalizzata a distruggere le unità dell’esercito ucraino che la difendevano. Le Forze armate del Paese dei Girasoli sono però riuscite a scongiurare l’accerchiamento, obbligando i mercenari di Prigožin a dissanguarsi invece casa per casa. Una missione che i russi hanno affrontato con ondate su ondate di attacchi frontali brutali. Così, a poco a poco, le linee di difesa sono comunque arretrate. Prima fuori città, poi dentro, quindi sul fiume Bachmutka – che divide la città in due – e ora sulla linea ferroviaria. Dopo questa, non rimangono che qualche via e i campi aperti. Ormai dunque è soltanto questione di tempo prima che la città cada. Le artiglierie russe impiegano pochi minuti prima di bersagliare chiunque si avvicini alla linea di combattimento, segnale di come i droni delle squadre di avvistamento riescano a volare impunemente. Nella foga gli invasori sfrecciano per la città con un trasporto truppe M113 catturato all’esercito giallazzurro, mentre “Bunny” – un carro armato T-80 catturato dagli ucraini a inizio guerra e famoso per aver distrutto più di venti veicoli corazzati russi – è rimasto impantanato. Il suo equipaggio l’ha dovuto distruggere con gli esplosivi per evitare che tornasse ai suoi precedenti proprietari. Se la conquista di questo crocevia sulla strada verso Kramators’k sarà una vittoria, le intercettazioni chiariscono come sia stata ottenuta. Dai 30mila ai 50mila russi sono morti nella battaglia e per sottolineare lo sforzo Prigožin si fa riprendere davanti al cimitero dei suoi tagliagole, dalle parti di Krasnodar. Non si tratta però di pietas bensì di un puro calcolo politico. La vera cultura di cui sono portatori la dimostra un altro suo soldato – un wagneriano – che ha piazzato il teschio scarnificato di un soldato ucraino su un albero, accanto a una falce. La foto scattata a questa macabra allegoria della morte sta piacendo molto ai “patrioti russi”, che la condividono sui social eccitati da quest’ultima espansione del loro mondo. Rovine e morte. di Camillo Bosco  

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