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armata di Putin

L’armata di Putin si logora in fretta

Dopo sei mesi di guerra durissima lo stallo del fronte è conclamato, mentre l’armata di Putin perde sempre più impeto.

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L’armata di Putin si logora in fretta

Dopo sei mesi di guerra durissima lo stallo del fronte è conclamato, mentre l’armata di Putin perde sempre più impeto.

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L’armata di Putin si logora in fretta

Dopo sei mesi di guerra durissima lo stallo del fronte è conclamato, mentre l’armata di Putin perde sempre più impeto.

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Dopo sei mesi di guerra durissima lo stallo del fronte è conclamato, mentre l’armata di Putin perde sempre più impeto.

La presa di Sjevjerodonec’k e Lysyčans’k si sono rivelate una vittoria di Pirro per la Russia. A onor del vero il re dell’Epiro guerreggiò tuttavia ancora a lungo dopo la sanguinosa battaglia di Ascoli, mentre il criminale Putin pare essersi già incagliato in una guerra di posizione dopo appena sei mesi.

Per capire il contesto di assoluta desolazione causata dall’Operazione Z nel Donbas, pochi giorni dopo la presa delle due città uno zetista ha pubblicato il video della folla in attesa per le colonne vittoriose: una singola ragazza dai capelli rossi. Combattere intere settimane per ricevere un simile benvenuto non è certo benefico per il morale. Il resto dei giovani e dei maturi era infatti stato già evacuato o si era arruolato nelle forze di difesa territoriale ucraine lasciando in città solo chi aveva deciso di rimanere di sua spontanea volontà e, in tutta evidenza, una volontaria per gestire gli aspetti umanitari dell’occupazione con gli invasori. I residenti rimasti si sono scoperti essere quindi quasi tutti degli over 60 indisponibili al trasferimento dalle loro case ataviche verso centri profughi di compromesso, luoghi d’altronde dallo stress psicologico insostenibile per un anziano già provato dai bombardamenti a tappeto di Mosca. Non sorprende allora che dopo la conquista di quella che un cinico definirebbe “una città geriatrica l’impeto delle Z truppen, già scarso, si sia dissipato. Persino i reparti ceceni – maciullati dal contrattacco ucraino a Sjevjerodonec’k – hanno diradato le pubblicazioni su TikTok per mancanza di influencer dal fronte, tanto che il loro comandante Magomed Daudov (nonché membro della Duma, il parlamento russo) è dovuto andare in televisione a parlare un po’ di jihad contro l’Occidente nel mediocre tentativo di colmare il vuoto mediatico.

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Tra queste miserie e la difficile situazione logistica ad Ovest del fiume Dnipro, il ministro della Difesa russa Šojgu ha infine gettato la spugna annunciando un «rallentamento delle operazioni sul campo per contenere le vittime civili». Questa grottesca affermazione non ha impedito ieri al generale Gennadij Židko di bombardare i vagoni ferroviari in attesa alla stazione di Chaplyne – ben lontana dal fronte – uccidendo almeno 25 civili, tra cui due bambini, e ferendo altre 31 persone. Tantomeno ha evitato l’uso di lanciamissili motorizzati Tornado per lanciare testate a frammentazione sulla città di Kryvyj Rih, il cui uso in zone densamente abitate è un crimine di guerra. Così come nell’area di Charkìv i soldati siloviki continuano imperterriti nel vano tentativo di riconquistare le posizioni perdute con attacchi d’artiglieria e missilistici o bombardamenti aerei sulla città già devastata.

L’area a Nord di Donec’k è invece quella più sanguinosa al momento. Lì gli assalti ruscisti, seppur spompati, sono incessanti e almeno una cinquantina di soldati crepano ogni giorno senza neanche vedere il bianco degli occhi dei difensori nel tentativo di ottenere il controllo di Avdiïvka e Bakhmut o di uno di quelle decine di piccoli villaggi giallazzurri dove li aspetta comunque un’accoglienza à Lysyčans’k. In questa somma di battaglie posizionali in cui si è ridotta la guerra in Ucraina, assistiamo dunque alla Waterloo dell’imperialismo ruscista.

di Camillo Bosco

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