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L'isola dei serpenti

L’isola dei serpenti liberata da Kiev

Mentre l’aviazione ucraina ripulisce l’isola dei serpenti, Mosca, ancora una volta, vende una sconfitta tattica come una decisione politica.

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L’isola dei serpenti liberata da Kiev

Mentre l’aviazione ucraina ripulisce l’isola dei serpenti, Mosca, ancora una volta, vende una sconfitta tattica come una decisione politica.

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L’isola dei serpenti liberata da Kiev

Mentre l’aviazione ucraina ripulisce l’isola dei serpenti, Mosca, ancora una volta, vende una sconfitta tattica come una decisione politica.

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Mentre l’aviazione ucraina ripulisce l’isola dei serpenti, Mosca, ancora una volta, vende una sconfitta tattica come una decisione politica.

L’Isola dei Serpenti è libera. Subito è emersa dalle acque del Mar Nero la testa bifronte del dio Giano. Una bocca, in russo, ha annunciato il ritiro delle truppe come gesto di buona volontà per permettere le esportazioni del grano ucraino o perlomeno di quello non ancora rubato dagli sgherri dei siloviki. La bocca opposta, in ucraino, ha ricordato invece i bombardamenti intensi dei giorni scorsi che hanno privato gli occupanti dell’isola delle sue difese aeree.

D’altronde questo lembo di terra di pochi chilometri quadrati vicino alla costa della Romania è parecchio distante dalle basi russe in Crimea e la mancata conquista di Odesa – unita all’affondamento dell’incrociatore “Moskva” (nave su cui si reggeva l’intero sistema antiaereo russo nell’area) – ha reso la conservazione del dominio moscovita sull’isola una mission impossible per l’ammiragliato russo.

Dopo il primo, umiliante reppulisti operato con un bombardamento a tappeto dell’area da parte dell’aviazione ucraina, i ruscisti erano tornati alla carica sbarcando lì diversi carri Buk M2 Telar. Ma tali veicoli, armati con sistemi antiaerei un tempo ritenuti il gold standardper la difesa delle colonne corazzate del Cremlino, si sono dimostrati facile preda dei droni Bayraktar già dalle prime settimane del conflitto. Nei giorni scorsi, con misurata costanza, i presidi difensivi sono quindi stati fatti saltare uno a uno dagli ucraini sia con l’aviazione (senza che questa abbia peraltro registrato perdite) sia grazie al tiro delle artiglierie semoventi Bohdana calibro 155mm posizionate sulla costa continentale. La distruzione poi della piattaforma marina Bk-1 e il danneggiamento di quelle denominate Bk-2 e Bk-3 (tutte situate sul giacimento di gas Odesskoye) hanno reso ancora più difficoltoso l’approvvigionamento aereo dell’isola, ormai incapace di contare sugli eliporti di quelle strutture. Nudo e indifeso, il contingente invasore è stato così infine evacuato dal comando generale russo.

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Come per la ritirata da Kyiv, il Cremlino cerca quindi di vendere una sconfitta tattica come una decisione politica ma nelle chat zetiste in pochi si disperano: le avanzate nel Donbas e le Z truppen entrate a Pryvillja prospettano una rapida presa di Lysyčans’k e finalmente i deliri psichici dei filoputinani possono trovare un ristoro (im)morale.

A voler essere completi, un altro gesto di “buona volontà” ha però avuto luogo ieri. Grazie a un accordo con i quadri dell’autoproclamata repubblica popolare di Donec’k, ben 144 soldati ucraini sono tornati a casa in uno scambio di prigionieri. Non un fatto inedito, sennonché fra di loro erano presenti 95 difensori di Azovstal, cioè 95 di quei «pericolosi nazisti» per cui la Russia ha ritenuto il 24 febbraio scorso di rovinare le vite di milioni di ucraini.

Il problema è che una rondine non fa primavera e i russi non hanno mai smesso un giorno di colpire l’Ucraina con un’empietà da antologia. Ad esempio, un paio di giorni fa due civili sono stati uccisi e otto feriti nel bombardamento russo di Bilopillja, Krasnopil’ e Velyka Pysarivka. Nell’oblast’ di Sumy, dove si trovano queste cittadine, al momento non vi sono combattimenti sul campo ma le artiglierie russe approfittano della situazione per colpire impunemente dal proprio territorio.

Forse sarebbe assai utile un ultimo chiarimento, prima che il criminale Putin si rechi al G20 pensando di utilizzarlo come ulteriore piattaforma per la sua narrativa vittimista. Un semplice enunciato, reso celebre da Totò nel suo “Totò d’Arabia”: «Ccà nisciuno è fesso, è chiaro?». Tutto il resto, di conseguenza.

di Camillo Bosco

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