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Mobilitazione russa disastrosa

Continua sfrenata la tragicommedia putiniana. A urne ancora aperte, per la stragrande maggioranza è meglio fuggire che vivere nel russkij mir
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Mobilitazione russa disastrosa

Continua sfrenata la tragicommedia putiniana. A urne ancora aperte, per la stragrande maggioranza è meglio fuggire che vivere nel russkij mir
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Mobilitazione russa disastrosa

Continua sfrenata la tragicommedia putiniana. A urne ancora aperte, per la stragrande maggioranza è meglio fuggire che vivere nel russkij mir
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Continua sfrenata la tragicommedia putiniana. A urne ancora aperte, per la stragrande maggioranza è meglio fuggire che vivere nel russkij mir
Code di auto nella parte occupata dell’oblast’ di Zaporiggia. Veicoli con quattro, cinque persone a bordo. Direzione: qualsiasi parte dell’Ucraina libera dallo stivale zetista. I referenda pare così siano stati il colpo di grazia per la traballante demografia dei territori occupati. A urne ancora aperte, per la stragrande maggioranza è meglio fuggire che vivere nel russkij mir. Il vero ‘voto’, l’unico che può essere espresso: allontanarsi dai fucili e dai cannoni ruscisti, raccogliendo la propria vita per organizzarla lontano dalle grottesche coreografie con cui il criminale Putin vuole salvare il salvabile. A proposito di spettacoli degradanti da cui fuggire, impossibile poi tacere della mobilitazione. Fucili arrugginiti, servizi igienici improponibili, equipaggiamento da recuperare privatamente, tamponi per il mestruo da usare come medicazione per le ferite d’arma da fuoco, finanche mancanza di letti. La leva organizzata da Šojgu fa rimpiangere i primi giorni dell’Operazione Z quando i soldati russi si perdevano sulle autostrade o razziavano i minimarket perché avevano finito le razioni militari, comunque scadute da anni. Ci sarebbe da ridire e citare le “Sturmtruppen” di Bonvi se la tragicommedia russa non fosse tracimata nel Paese dei Girasoli come il pus di una ferita la cui gangrena vagheggia tracotante il suo impero. Persino Margarita Simon’jan e Vladimir Solov’ëv, dioscuri della propaganda putiniana, ci sono rimasti male per come sta andando il reclutamento. Solov’ëv, vestito com’è solito da ascensoriere, commina fucilazioni «agli stupidi che vogliono screditare il comandante in capo e che chiedono mazzette per stralciare i nominativi». La Simon’jan, d’altro canto, rimpiange d’aver figliato troppo tardi ma ricorda che «fu a causa dell’obbligo di mangiare carne infestata da vermi che nel 1905 i marinai della corazzata Knjaz’ (“Principe”) Potëmkin-Tavričeskij di stanza a Odesa compirono il primo ammutinamento nella storia del nostro Paese». Intanto il fuggifuggi di russi in età arruolabile continua con disperazione crescente. Le guardie di confine intercettano i renitenti mentre unità dell’esercito sono apparse alla frontiera con la Georgia. Il portavoce Peskov sostiene però che il Cremlino non abbia informazioni su quanti uomini si stiano spostando oltreconfine ed esclude la chiusura dei valichi. Forse Mosca vuole tenere una valvola di sfogo per evitare altre “situazioni Daghestan” dove, nonostante la cancellazione della leva locale, le proteste non accennano a diminuire. A fronte di questi subbugli interni, sul fronte ucraino la situazione appare invece stabile. Tuttavia la stasi è una sciagura militare per l’esercito russo, che ora è alla mercé dell’iniziativa bellica giallazzurra. Tant’è che l’offensiva russa di Bachmut, unica sulla linea di contatto, giace nella “ombra operativa” dell’accerchiamento ucraino della città di Lyman, poco più a Nord. Quando si compirà, e nessuno ormai ne dubita, le truppe Wagner a Sud dovranno giocoforza ritirarsi e il sacrificio dei loro commilitoni sarà stato vano. Così come quello dei mobiki donbasiani e dei riservisti mal equipaggiati che presidiano la valle dove giace Lyman. Quello che rimane della 20esima Armata russa si è già ritirato fuori città: nel migliore dei casi per impedirne l’accerchiamento; nel peggiore per evacuare i veicoli e le armi prima che gli ucraini tornino. Ce lo dirà il tempo. Di Camillo Bosco

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