La ritirata russa da Chersòn e il rischio di ritorsioni sanguinose
La ritirata russa da Chersòn apre a scenari sanguinosi. Lo stesso Zelens’kyj ha avvertito della possibilità che le truppe russe vogliano distruggere la diga situata presso Nova Kachovka. Una soluzione codarda adottata da Mosca già nel 1941.
La ritirata russa da Chersòn e il rischio di ritorsioni sanguinose
La ritirata russa da Chersòn apre a scenari sanguinosi. Lo stesso Zelens’kyj ha avvertito della possibilità che le truppe russe vogliano distruggere la diga situata presso Nova Kachovka. Una soluzione codarda adottata da Mosca già nel 1941.
La ritirata russa da Chersòn e il rischio di ritorsioni sanguinose
La ritirata russa da Chersòn apre a scenari sanguinosi. Lo stesso Zelens’kyj ha avvertito della possibilità che le truppe russe vogliano distruggere la diga situata presso Nova Kachovka. Una soluzione codarda adottata da Mosca già nel 1941.
La ritirata russa da Chersòn apre a scenari sanguinosi. Lo stesso Zelens’kyj ha avvertito della possibilità che le truppe russe vogliano distruggere la diga situata presso Nova Kachovka. Una soluzione codarda adottata da Mosca già nel 1941.
«Potrebbe arrivare il tempo delle decisioni difficili» ha annunciato il generale russo “Humpty Dumpty” Surovikin. Il timore attuale è però che non parli della ritirata da Chersòn, già iniziata in sordina e coperta dall’evacuazione dei collaborazionisti e dalla deportazione dei civili ucraini. La scalcagnata mobilitazione, già dichiarata conclusa a Mosca e in altre aree per paura di disordini, sembra abbia prodotto solo 225mila coscritti rispetto ai 300mila desiderati dal criminale Putin e soprattutto alcun significativo cambiamento sul campo.
Le migliaia di uomini versati sul fronte – così mal addestrati e mal equipaggiati che risulta difficile chiamarli soldati – non si stanno dimostrando lo stucco adatto per colmare i buchi nel muro di cartone dell’Operazione Z. Tra poco, come già accaduto prima di ottobre, le linee russe torneranno quindi a quella porosità che renderà ineluttabile il successo degli attacchi ucraini e inevitabili i nuovi “gesti di buona volontà” e “riorganizzazioni tattiche” da parte dei vatnik. In questa deprimente prospettiva il rischio è che il comando russo stia accarezzando l’idea, quantomeno nel Chersons’ka oblast’, di riempire le voragini della sua linea di difesa con una montagna d’acqua. Un’idea vecchia di almeno ottant’anni.
Nel 1941 Mosca decise infatti di far saltare la diga Dnjeprostroj causando un immane allagamento che portò alla morte indistinta di soldati tedeschi e sovietici nonché di civili ucraini. L’infrastruttura fu riparata solo per essere di nuovo distrutta dalle truppe di Hitler in ritirata. I tempi però cambiano e la diga si trova ora sotto il reticolo delle difese antiaeree della città di Zaporiggia, rendendo scarse le possibilità di successo dell’attacco. Inoltre, come ha dimostrato qualche mese fa un bombardamento russo alle chiuse del fiume Nipro, la conseguente carneficina potrebbe non soddisfare appieno la sete di sangue del Cremlino.
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Lo stesso presidente Zelens’kyj ha avvertito della possibilità che le Z truppen vogliano invece distruggere la diga situata presso Nova Kachovka. Sono sconosciuti i danni che questa decisione comporterebbe, con l’unico sollievo che l’area potenzialmente interessata da tale attacco terroristico è già stata in buona parte evacuata dalla stessa occupazione dei fascisti russi. Nei mesi scorsi migliaia di abitanti di Chersòn, specialmente i più giovani, hanno infatti abbandonato le proprie case ataviche pur di non vivere da sudditi nel russkiy mir. Nonostante questa guerra ci abbia insegnato che i moscoviti difettano del pur minimo rispetto delle norme internazionali, almeno l’interesse per il mantenimento delle ‘conquiste’ zetiste fa sperare che questo ennesimo atto brutale non verrà compiuto. La diga è infatti anche il punto di partenza del canale che porta acqua potabile alla penisola della Crimea, regione ucraina che la Federazione Russa ha annesso illegalmente nel 2014.
La distruzione della barriera porterebbe così enormi problemi alle città occupate nella penisola, aggravando la situazione dei rifornimenti già resa difficoltosa dal precario stato del ponte sullo stretto di Kerč’. Soppesando questi scenari grotteschi e luttuosi, la migliore «decisione difficile» che potrebbe prendere Surovikin è quella di lasciare in pace il popolo ucraino.
Di Camillo Bosco
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